figlia
spirituale di P. Caruso (Doc.n. 33 del Fondo Caruso)
Gasperina, 16.09.1961
Rev.ma
Eccellenza, Mons. Giuseppe Pullano, Vescovo di Patti,
mi accingo a fare il mio dovere di scrivere a S. E.
quando ho visto, ho udito, e quanto è giunto a mia conoscenza intorno alle
virtù del Rev.mo Don Francesco Caruso, a gloria di Dio, a venerazione del mio
concittadino e buon Padre Spirituale, a consolazione delle anime ed onore del
Terz’Ordine Domenicano da lui fondato in questa cittadella, e affinché per mia
negligenza non trascurarsi alcun detto, visto degno di memoria, mi affido allo
Spirito Santo e alla Beata Vergine, offrendo una novena per detto fine.
Angela
Papucci fu Saverio, l’ultima del Terz’Ordine Domenicano e indegna figlia di Don
Francesco Caruso.
Ho voluto
conoscere i natali della sua patriarcale famiglia, composta di quindici figli,
e mi sono recata dalla sorella Maria Elisabetta in Celia e con semplicità e
soddisfazione così mi parlò: “Siamo stati quindici figli, di cui sette maschi
ed otto femmine, e questo è l’ordine delle nostre nascite: Marianna, Giuseppe,
Rosa (anima consacrata pur restando in famiglia, morta in età di anni 28),
Clementina (vissuta due mesi), Caterina (anch’essa anima consacrata; vestì in
seguito dalle mani di Don Francesco l’abito del Terz’ordine Domenicano,
prendendo il nome di Suor Agnese; morì in età di sessantadue anni), Vincenzo
(sacerdote morto a Mesuraca il 10.01. 1959), Donato, Clementina, Francesco,
Saverio, M. Teresa, M. Elisabetta (colei che parla), Urbano, Serafina (morta a
15 mesi) e Serafino (ancora vivente) anche fornì anche a S. Ecc. notizie quando
ci diede l’alto onore di venire a Gasperina.
Francesco da
piccolo manifestò ai genitori il desiderio di farsi sacerdote e questi lo
contraddissero appunto perché stavano mantenendo al seminario il fratello
Vincenzo, non potendo, quindi, ad altra spesa assoggettarsi, essendo la
famiglia così numerosa. Egli pianse, supplicò, ma sempre invano, nel frattempo
non trascurava di fare del bene. Egli faceva e rifaceva altarini ad ogni
stanza, saliva sopra le sedie e predicava, nel pomeriggio, all’età dai 15 ai 17
anni, riuniva i fratelli, i cugini e vicini di casa e insegnava loro il
catechismo. Questo me lo manifestò anche una sua cugina che vi partecipava. Ai
più piccoli che facevano capricci, cullandoli nelle sue braccia, diceva: Sii
buono, se no, viene Ciccio a pigliarti; per Ciccio intendeva il diavolo”.
Da altra
persona di fede ho sentito dire che senza rispetto umano in Chiesa si portava
all’altare della Madonna e recitava la corona con tanta edificazione che era
animato.
Una sua
parente terziaria, Maria Caterina vedova Can…, diceva alle figlie, parlando di
lui, di averlo visto più volte, in un magazzino che fungeva da stalla,
inginocchiato in un angolo a pregare. Così trascorse l’adolescenza e il
principio della giovinezza. Per stringere il tempo ad entrare in seminario
supplicava i genitori a vendere la quota sua spettante onde sostenere le spese.
Non ottenendo questo fece domanda di andare volontario al servizio militare e
all’età di 17 anni fu ammesso. Durante detto periodo gli venivano impartite
lezioni di musica da un soldato compaesano, ed in breve tempo imparò uno
strumento a fiato. Il suono continuo gli procurò l’infiammazione della laringe,
per cui, non bastando le cure, lo fecero recare a Napoli per assoggettarsi ad
un intervento chirurgico. Finito il militare, dietro sua continua insistenza, i
famigliari si recarono a supplicare il Vescovo a Squillace, ma questi si
rifiutò dicendogli, che era maggiorenne. Non abbattuto, non stanco,
consiglia i suoi a portarsi a Catanzaro. Infatti, colà venne accolta la
domanda, ed il giovane poté finalmente essere pago delle sue ambite aspirazioni.
Il fratello Serafino ha detto: “Negli studi faceva progressi a passi da gigante,
non ebbe mai a riparare in ottobre.
Il gran
giorno della consacrazione venne e furono presenti i famigliari. Dopo un breve
periodo di tempo il vescovo lo mandò per una breve visita in famiglia. Subito
dopo lo mandò a Sellia dandogli il
possesso dell’Arcipretura. Ivi dimorò due anni ed ebbe per compagno un cugino,
che mi sta comunicando ciò: Celia Saverio fu Francesco: “Era molto stimato da
tutti, non si risparmiava per il bene delle anime, chiamato di notte accorreva
ad assistere i moribondi; di giorno era sempre in continua attività e a tempo
disponibile mi insegnava a scrivere e a leggere. Il popolo pianse molto il suo
trasferimento e tuttora se ne loda di Lui”. Il vescovo lo volle in Catanzaro,
dove gli assegnò il delicatissimo compito della Direzione del Seminario e
Penitenziere della cattedrale, nonché parroco della Stella. Per sì alta
missione pare che il Signore lo dotò di scienza, dolcezza e santità di San
Francesco di Sales, di cui era molto devoto. E così, infatti, lo sentii
paragonare dal sacerdote Don Francesco Macrina, suo figlio spirituale, che lo
stimava ed imitava tanto (ora in cielo).
Dalla
sorella Elisabetta ho appreso anche questo: “Una notte, mentre sorvegliava i
seminaristi in dormitorio, vide nella corsia un signore; lui avvicinandosi gli
domandò il motivo di quella visita in un orario importuno, ed ebbe questa
risposta: “Il tuo è il tuo, il mio è il mio”. Lui tracciò un segno di croce
sullo strano individuo, che subito avvolto in una fiamma di fuoco disparve.
Durante le
vacanze da luglio a settembre S. Ecc. il vescovo lo mandava a casa per
riposarsi; e più di una volta la sua casa ebbe l’alto onore di avere ospiti per
intere giornate l’ecc.mo vescovo con tutti i seminaristi in numero di trenta,
nonché tutti i sacerdoti locali in numero di dodici.
Molti
conoscenti lo ricordano sempre uguale, esatto nelle orazioni e soprattutto nel
SS. Sacrificio della S. Messa, che sembrava un Serafino, tanto era raccolto e
devoto il suo atteggiamento. Io che sempre ascoltai la sua S. Messa, avvertii,
e con me una mia amica, che la S. Messa una
volta durò quasi un’ora. Egli era rosso; un sudore dopo la consacrazione gli
imperlava il viso; rimaneva come paralizzato quando aveva l’Ostia nelle mani.
Gli dissi alcuni giorni dopo se si fosse sentito male e mi rispose: “Non avrei
potuto proseguire se non fosse stato per un miracolo”. Non la sbagliavo ad
ascoltare la S. Messa e a
ricevere Gesù dalle sue mani. Anche il sacrista ricorda commosso e con
venerazione l’ottimo sacerdote a cui serviva la
S. Messa: “Il suo raccoglimento,
l’esattezza in tutto, il suo atteggiamento! Era di carità; per le feste mi
offriva un regalo e mi diceva: porta ciò alla mamma tua… poiché era bisognosa”.
I sacerdoti
locali l’attorniavano, bramosi di sentire i suoi santi discorsi ed imitarlo in
quanto potevano; e lo vedevano dopo la visita serotina a Gesù, portarsi con
essi verso la campagna per una breve passeggiata; così pendevano dal suo labbro
ed anche il loro atteggiamento esterno mostrava una posizione modesta e
riserbata.
Egli aveva
cura a far pervenire ai sacerdoti più bisognosi le S. Messe che a lui venivano
offerte in sufficienza, perché molto stimato. La sua carità si estendeva su
tutti i bisognosi e curava a fare delle collette per le anime nascoste che a
lui si manifestavano e si raccomandavano. I poveri, dopo la
S. Messa, l’attendevano all’uscita della
porta e lungo viale Mazzini; ed egli non
negò ad alcuno la sua carità, anche quando si ridusse ad avere solo l’offerta
della S. Messa e pieno di tante esigenze, perché molto malato. Questo lo vidi
io tutte le mattine, seguendolo con lo sguardo lungo tutto il viale.
Come lo
conobbi.
Sentii
parlarle il 1927 di persona degna di fede, delle sue predicazioni, ossia i S.
Spirituali Esercizi che egli teneva in parrocchia, ogni anno, per la durata di
dieci giorni, predicazioni ed istruzioni che apportavano tanto bene alle anime.
Volli, per conoscerlo, parteciparvi anch’io. Non mi era nuovo il sacerdote; era
il sacerdote che vidi, dove da piccola, quando mi mandò mia nonna, allora stava
con la famiglia vicino la casa di mia
nonna; era alto, bello, dal colorito roseo, dagli occhi cerulei, dal portamento
maestoso e venerando. Rimasi entusiasta
per la sua vasta e pratica dottrina, ma soprattutto per l’espressione divina
che emanava dal suo volto. Egli si adattava a tutti i ceti, aveva una memoria
fenomenale, citava tutte le opere dello Scaramelli, di San Francesco di Sales e
la vita di San Domenico, il quale salì il pergamo per tessere le lodi. Mi fu
detto che nel Terz’Ordine aveva preso il nome di S. Domenico. Lo imitò tanto
bene, specie nella penitenza: portava cilizi (che egli chiamava catenelle per dar poco importanza) alla
vita, alle braccia, alle caviglie; e si disciplinava, come lui, per la salvezza
e la conversione delle anime che tanto amava. Concludeva le sue istruzioni di
ascetica e di mistica con l’interrogare le anime che gli prestavano maggiore
attenzione. Aveva una vastissima cultura, un’esatta preparazione. Egli non
ripetette mai le meditazioni ed istruzioni una volta fatte.
Le anime lo
veneravano, gli baciavano con sacro rispetto le mani, domandavano benedizioni
su corone, medaglie, scapolari, poiché egli aveva facoltà speciali, e senza mai
mostrare un senso di stanchezza le impartiva ben volentieri.
Egli era
dolce e forte. Ad un seminarista che gli servì la
S. Messa con negligenza, lo punì
lasciandolo in ginocchio davanti al Tabernacolo per circa venti minuti. A un
collegiale (ora insegnante a Gasperina) parlando di lui con molto entusiasmo:
Sono stato formato dal Rev.mo Padre Caruso; ricordo che una volta perdetti un
bottone della giacca, glielo strappai ad un altro compagno e me lo feci
attaccare; per non subire dai superiori
un richiamo, quando me lo accusai in confessione, mi disse: “Non prendere ciò
che non è tuo, vai e rimettiglielo
subito”; così feci, ma con soddisfazione, poiché sapeva tanto convincere le
anime.
Il
professore Castanò, insegnante unico in Gasperina, mi disse che, essendosi una
volta confessato con lui, non sapendo recitare l’atto di contrizione, balbettava
parole a modo suo; egli, prudente ed accorto gli disse: “Dica assieme a me…”.
Egli restò edificato per tanta esattezza.
Sempre che
rivedeva i suoi parenti, fedeli, figli spirituali, era questa la prima domanda
che loro rivolgeva: “Come si va con l’anima”? E poi da persona fine aggiungeva:
“e la sua salute e i suoi”? Era colmo di gentilezza.
Il 1928,
durante gli esercizi spirituali, parlò di San Domenico e del Terz’Ordine da lui fondato per il bene
delle anime. Le anime si entusiasmarono dei grandi benefici che esso apportava
e domandavano di essere ammessi al Terz’Ordine ; egli dopo aver sopportato e
lottato tante contraddizioni, formò il primo gruppo di terziarie, affidandolo
al Rev. Don Massimo Raspa come Direttore e alla signorina Procopio Clementina
fu Saverio come Priora. Un maggior risveglio avvenne in parrocchia; molti
avrebbero voluto far parte, ma egli come giustamente vuole la regola non ne
scelse che poche. Il seme da lui gettato
germogliò ed egli ebbe la soddisfazione di vedere tante anime seguirlo nella
perfezione, vivendo una regola alquanto stretta, con cilizi, digiuni e
discipline, e soprattutto meditazione ed apostolato. Ne vide partire una per le
Indie, altre sette per conventi di san Domenico, altre quattro terziarie nella
Casa di Carità, altre al Cottolengo, altre sorelle della misericordia ecc…
In ogni
estate ritorna sempre con entusiasmo in mezzo alle sue figlie che con
altrettanto entusiasmo l’attendono. Consiglia alle più brave una donazione
totalitaria a Dio, con l’accettare tutte le sofferenze con spirito di
riparazione e le associa alle anime
vittime del Cuore di Gesù. Molto amante della Madonna, vuole che nel
Terz’Ordine ci sia la diffusione del rosario
perpetuo che fu fondato a Firenze nel 1900 e dal 1929 abbiamo nella nostra
parrocchia 456 iscrizioni. Per la custodia della purezza consiglia il cingolo
della milizia angelica, ossia di san Tommaso d’Aquino che egli, benedicendolo,
porgeva a terziari sacerdoti e fedeli che lo bramavano.
Istituisce
l’Opera delle vocazioni sacerdotali, e dando delle padelline con iscrizioni ed
assegnate preghiere si chiedeva l’obolo “Pro seminario” per il mantenimento
delle vocazioni povere.
Ora trascrivo delle lettere a me dirette e che
custodisco come altrettante reliquie e trovo utile per le anime.
1.
Lettera di Padre Caruso
“Apprendo
quanto avete scritto riguardo alle distrazioni, aridità di spirito, alle
immaginazioni che riturbano e vi impediscono di attuare come vorreste le
pratiche di pietà e specialmente alla meditazione. Vi rispondo che non dovette
più nulla preoccuparvi, perché si tratta di una piccola prova, a cui il Signore
vi ha voluto sottoporre, permettendo il demonio di turbarvi. Sappiate che di
regola ordinaria, quando il Signore vuole spingere avanti un’anima nella via
della perfeziona la alletta dapprima con qualche dolcezza spirituale, ma quando
la vede abbastanza fondata nel desiderio di santificarsi, la sottopone ora ad una,
ora ad un’altra prova, secondo che vede che ha bisogno di fondarsi in una o in
un’altra virtù. Spesso permette che sia travagliata da aridità, da
immaginazioni impure, da pensieri di bestemmia o contro la fede, affinché essa
conosca in quale abisso potrebbe precipitare e quanto poco deve fidarsi di sé,
per così fondarsi bene nella cognizione del proprio nulla e confidarsi tutto in
lui. In tali casi l’anima deve attaccarsi nella fiducia in Dio come una nave
all’ancora e, qualunque cosa avverte in sé, ripetere sempre: “Mio Gesù, confido
in voi”, anche se le sembrasse di trovarsi già in mano ai demoni nell’inferno.
Non deve lasciare alcune pratiche di pietà e tanto meno la Comunione. Avete
fatto male a sospenderla. Quando non c’è peccato mortale certo, la Comunione non si deve
mai lasciare. Del resto, anche se ci fosse il peccato mortale, non bisognerebbe
lasciare la Comunione,
ma confessarsi subito per poterla fare. Vi dico di più, che certe volte il
Signore permette delle gravi cadute in anime veramente buone, affinché
imparassero a proprie spese ad essere umili e a compatire gli altri, come ha
fatto perfino con San Pietro. State di buon animo, dunque, ripigliate subito la
santa Comunione e sopportate contenta la prova del Signore, ringraziandolo che
si degna di provarvi. Ed ora pensate a preparare una bella culla a Gesù
Bambino, cioè considerate come piccola culla per Gesù l’anima vostra e
preparatela con la pratica di tutte quelle piccole virtù che vi riesce di
praticare, specialmente con frequenti atti di amore verso di Lui, aspettando
che egli venga a prendere possesso di tutto il vostro cuore. Pregate secondo le
mie intenzioni, perché non potete immaginare quanto sono grandi i miei bisogni
spirituali” (23. 12. 1930).
2.
Lettera di Padre Caruso
“Non mi sorprende di quanto mi dite riguardo alle fitte tenebre, aridità,
tedi ecc… che soffrite, né di quanto mi dite riguardo alle tentazioni che il
demonio ha scatenato contro di voi. So già ( e dovete convenire anche voi) che queste sono le prove ordinarie alle quali
il Signore permette che siano assoggettate le anime che egli vuole spingere
avanti nella via della perfezione. Voi vi angustiate tanto ed io invece, lo
credereste?, sono contento della vostra prova, perché ciò mi assicura che il
Signore vi ama con affetto particolare e vi chiama a vita più perfetta. Cessata
che sarà la prova, loderete e benedirete anche voi il Signore per avervela
mandata. In alto, dunque, il vostro cuore; baciate la mano di Gesù che vi
lascia opprimere per meglio e maggiormente innalzarvi. Non temete di avere
offeso gravemente il Signore durante le tentazioni e scacciate come una grande
tentazione il pensiero di avere ricevuto Gesù sacrilegamente. Posso assicurarvi
che mai avete dato tanta soddisfazione al Signore di quanto gliene avete data
facendo la S. Comunione,
solo per ubbidienza. La tranquillità che vi sembra di aver trovata quando
l’avete lasciata è tranquillità falsa che viene dal demonio, il quale
cercherebbe così di allontanarvi dal cibo della vita, dal rimedio di cui avete
bisogno. Non pensate neppure che io possa concedervi il permesso di lasciare la
S. Comunione. Se io lo facessi mi
assicurerei all’opera del demonio, che tenta di rovinarvi. Voi fatela malgrado
i vostri timori, anzi prendete motivo delle vostre miserie per sentirvi
incoraggiata a riceverla, pensando che per le vostre miserie ci vuole proprio
il cibo eucaristico. Non vi preoccupate di quella che voi chiamate tiepidezza e
che, invece, è soltanto aridità, permessa da Dio per ben fondarvi nell’umiltà.
Fate bene a riconoscere il vostro nulla e le vostre miserie, ma nello stesso
tempo tenete sempre il cuore sollevato in alto da una fiducia incrollabile in
Gesù, che anche quando vi sembra che si sia allontanato, vi assiste
amorosissimamente.
Non fa al
caso vostro il passo dell’Apocalisse che mi avete citato riguardo alla
tiepidezza, perché la vostra, come ho scritto sopra, è aridità, non tiepidezza.
L’aridità non è una colpa. Perciò vi proibisco di pensare al detto passo
scritturale assolutamente e di
pensare, invece, che Gesù vi ama e vi vuole salva, vi vuole santa.
Se vi sembra
di non potere presentare a Gesù una bella culla nel vostro cuore, mostrate alla
Madonna la vostra miseria e pregatela che prepari Essa stessa nel vostro cuore
una migliore dimora. Nello stesso tempo però aprite a Gesù tutto il vostro
cuore., tutta l’anima vostra, perché possa riempirli del suo amore e non
commettete l’insensatezza di chiudergli l’entrata per eccesso di timore,
facendo come i bambini, che per timore chiudono la porta in faccia a chi si
avvicina per beneficarli. Ricordatevi che il timore è solamente principio della
sapienza, ma il perfezionamento sta nell’amore. Amate dunque Gesù e state
tranquilla e quanto più vi sentite angustiata e tentata, tanto più
protestategli il vostro amore, dicendogli che, malgrado tutto voi non cesserete
di amarlo. Ricordatevi che l’eccessivo timore fa intristire anche i più nobili
sentimenti, mentre l’amore li fa nascere e li feconda. Siamo intesi? E ora
pregate per me, perché non potete immaginare quanto ho bisogno di essere
aiutato. Sosteniamoci a vicenda, come il cieco e lo zoppo, per poter
raggiungere il sentiero della perfezione, a cui il Signore ci chiama. Siate
benedetta di tutte le benedizioni del Signore, che tanto vi ama, e rifugiatevi
nel suo divino costato, aperto per noi, e sotto il manto della tanto amata
madre nostra, Maria Santissima. ( 24.12.1931).
3.
Lettera di Padre Caruso
“Ho ricevuto
i vostri auguri e ve li ricambio ai piedi di Gesù Sacramentato. Accolga Egli i
vostri e i miei voti di sempre maggiore santificazione, malgrado gli sforzi
sempre crescenti dei nostri spirituali nemici. Senza Gesù non possiamo nulla,
ma con Gesù possiamo tutto. Stiamo perciò di buon animo e combattiamo con Lui
la nostra battaglia, sicuri che un giorno i nostri sforzi saranno coronati di
gloria in Paradiso. Ho pregato e continuo a pregare per voi, particolarmente
nella S. Messa. Voi pregate per me insistentemente dopo la
S. Comunione. Vi accludo timbrata la
pagella dell’ottimo Luligoy che vi prego di salutarmi, raccomandandomi alle sue preghiere. Tante
benedizioni a voi e a tutti del nostro Terz’Ordine. Mi salutate particolarmente
D. Clementina e le dite che mi aspettavo qualche notizia riguardo la sua
attività” ( 30.03.1932).
4.
Lettera di Padre Caruso
“Non ho potuto
rispondervi prima, perché molto occupato con gli esercizi spirituali e
panegirico di S. Caterina e con le altre mie occupazioni. Godo che siete
rimessa. E che avete ripreso i vostri soliti esercizi, ma occorreva avvisarvi
per lasciarli durante la malattia., anzi vi dico che se ancora non vi sentite
sufficientemente in forma, li sospendiate ancora, perché tali esercizi no
devono essere di danno alla salute. Vi ricordo di stare con lo spirito
sollevato e pieno di confidenza in Dio. Servite
Domino in laetitia, come dice lo Spirito Santo. Le
tetraggini di spirito non piacciono al Signore e sono di danno allo spirito
stesso, perché lo snervano mentre invece l'allegrezza lo corrobora. Mi dispiace
da una parte delle sofferenze spirituali del maestro Luligoy, ma dall'altra ne
sono contento, perché so che le anime buone debbono essere provate. Solamente
bisogna raccomandargli che apra l'animo suo a qualche buon direttore di
spirito, altrimenti il demonio gli potrebbe fare qualche brutto tiro. Vi
ringrazio delle preghiere che avete fatto per me e vi prego di continuare,
avendone ancora pressante bisogno. Da parte mia non mancherò di pregare per
voi” (4. 05. 1932).
5.
Lettera di Padre Caruso
“
Spero che il libriccino che ho scritto vi sia piaciuto. Ora bisogna pregare e
far pregare che si diffonda il più che sia possibile e che sia preso sul serio
il suo contenuto. Pregare e farlo conoscere è anch’essa un'opera di apostolato,
per il bene che potrà fare.
Per
quanto riguarda il vostro stato di spirito, credo che si possa attribuire al
fisico la fiacchezza di cui soffrite. Forse state facendo il digiuno
quaresimale e vi indebolisce troppo, portando come conseguenza l’infiacchimento
dello spirito. Perciò, se vi sentite debole, vi consiglio di sospendere il
digiuno e di nutrirvi bene. Il corpo non deve essere assoggettato al digiuno,
quando questo è di danno allo spirito per voi stessa e per gli altri, ai quali
potreste prestare l'opera vostra. Non fate bene a piangere quando vi sentite
incapace di compiere le opere di apostolato che vorreste fare. Così vi
indebolireste di più e vi rendereste meno capace. Il sollievo momentaneo che
provate può essere seguito da un maggiore abbattimento. Invece, quando vi
trovate in simili circostanze, dovete fare con tutta calma un atto di rassegnazione
e di confidenza in Dio, sperando di fare in appresso quello che non potete fare
per il momento. E se vi sembrasse che neppure per l'avvenire vi riuscirà di
fare dell’apostolato, offrite al Signore la vostra impotenza e state
tranquilla. Vale molto di più fare la volontà di Dio soffrendo che fare del
apostolato, quando il Signore non crede per i suoi altissimi fini di
permetterlo. Chiedete pure che ritorni la luce, ma intanto state contenta,
nella piena uniformità al volere di Dio, abbandonata, come voi stessa dite,
totalmente in Lui. Facendo così, state certa di non sbagliare. Se avete altre
difficoltà da espormi, potete farlo liberamente. Intanto pregate per me e
secondo le mie intenzioni, che sono tanto, e poi tanto, importanti. Da parte
mia pregherò per voi e secondo le vostre intenzioni, specialmente farvi santa e
santificare molte anime. Pregate anche particolarmente per la santificazione
dei sacerdoti e per la conversione dei poveri peccatori” (30. 03. 1933).
6.
Lettera di Padre Caruso
“Riguardo
al pagamento del sussidio ai seminaristi poveri, mi aveva scritto mia sorella e
già avevo scritto a mia volta al rettore di Squillace. Ora aspetto la risposta
e poi ve la comunicherò. Potete stare tranquilla, però, che il rettore mi
concederà che si paghi mensilmente anticipato invece che a trimestre.
Quanto
alla decisione che avete presa di comune accordo con la vostra amica non trovò
nulla a ridire: è un buon proposito che può essere di molto giovamento ad
entrambe. Soltanto raccomando la prudenza
nell'imposizione della penitenza e nella pratica settimanale della virtù. Non
permetto che penitenza e piccole pratiche di virtù; inoltre raccomando che non
ci siano esagerazioni nella manifestazione reciproca dei difetti. Perché la
virtù in genere e l'umiltà in specie debbono poggiare sulla verità, altrimenti
non sarebbero vere virtù. Alla vostra amica dite a nome mio che la decisione
che avete presa in comune è santa e che, perciò, imporvi quelle penitenze, che
crede giuste, è un ufficio di carità e non deve fare a meno di imporvele. Il
giudice però è lei intorno alla qualità e quantità delle penitenze e delle
virtù da farvi praticare; viceversa, quando si tratta di lei il giudice siete
voi.
Ditele
pure che quando avesse cose importanti da scrivermi, non dovrebbe badare se sa
scrivere bene o male, perché io nelle lettere bado solamente se quello che mi
si scrive mi da occasione di poter rispondere qualche buona parola per il bene
dell'anima di chi mi scrive o per cui mi scrive” ( 19.11. 1933).
7.
Lettera di Padre Caruso
“Mi
dispiace che anche voi siete stata ammalata e che siete ancora sotto cura. Vi
auguro di guarire presto, per potere meglio servire il Signore se così a Lui
piacerà. La mia malattia, purtroppo, non è di quelle che possono umanamente
guarire, trattandosi di arteriosclerosi.
Ci vuole l'intervento della Madonna di Lourdes che io ho stabilito di andare a
visitare. Se non vorrà guarirmi, sono contento lo stesso, perché, sopra tutte
le cose, io voglio la gloria di Dio, il bene delle anime e la salvezza della
povera anima mia. Quello che mi tortura lo spirito e per cui principalmente
voglio andare a Lourdes è il turbamento spirituale in cui mi trovo da diverso
tempo. Se si trattasse soltanto di sofferenze fisiche, anche gravi, sarebbe per
me una festa. Conosco, e sarebbe per me una colpa non riconoscerlo, che questa
è una prova per il mio povero spirito e ne ringrazio il Signore, ma soffro
quanto mai ho sofferto in vita mia.
La
Madonna mi ottenga che la prova sia abbreviata o almeno che le forze siano
superiori alle sofferenze. Godo che venerdì vi recherete a Roma in
pellegrinaggio. Di qui non ho potuto trovare alcuno che prendesse parte al
congresso domenicano. Farete cosa buona se vorrete rappresentare anche la
nostra fraternità di Catanzaro. Continua anche a pregare per me, mentre io
continuerò ad offrirvi in unione con Gesù nel S. Sacrificio. (Vi) benedico nel
nome del Signore, insieme a tutte quelle che lavorano per la gloria di Dio e il
bene delle anime in Gasperina” ( 27.02, 1934).
8.
Lettera di Padre Caruso
“Ho
ricevuto la vostra ieri; conformemente al vostro desiderio, ho fatto un memento
speciale per voi e vi ho offerto unitamente al Santo Sacrificio, quale Vittima
della Divina Volontà. Non è però la prima volta che faccio simile offerta, giacché
ho per consuetudine di offrire ogni mattina in unione alla Santa Messa tutte le
anime del mondo e specialmente le anime vittime e quelle che hanno altri titoli
di speciale unione a Gesù.
Non
importa che non avete scritto prima, ciò indica che non avete avuto dubbi od
ansietà di spirito da espormi.
Nella
vostra ultima mi fate conoscere che non avreste voluto la carica che vi è stata
affidata. Vi rispondo che io non riesco a capire come un'anima che ama
veramente il Signore possa desiderare di starsene appartata e non cerchi di
impegnare le armi per opporsi al demonio e al mondo, che fanno di tutto per
distruggere il regno di Gesù Cristo. Meno male che poi avete accettato! Ora
badate a curare gli interessi di nostro Signore senza preoccuparvi della vostra
piccolezza, perché è, appunto, delle piccole cose che Egli si serve per fare
cose grandi, affinché tutti riconoscessimo che il bene è Lui che lo fa e non
siamo noi che poveri strumenti nelle sue mani. L'apostolato è la più bella
prova del nostro amore verso Dio e le anime, sia che si eserciti nei luoghi di
missione, sia che si eserciti nel proprio paese, quando è così che vuole il
Signore. Di me che cosa dirvi? Porto sempre il mio fascio di croci, non solo di ordine fisico, ma anche e molto più di
ordine spirituale. Ho bisogno di particolare assistenza dal Signore e dalla
Madonna e, perciò, di particolari preghiere. Tanto più che in mezzo a tante
tribolazioni, attualmente non mi è dato di trovare un direttore spirituale, nel
cui cuore versare l'ambascia del mio spirito! Preghiamo dunque e portiamo le
nostre croci dietro Gesù, come Egli vuole, per poter raggiungere la vetta del
calvario ad imitazione sua. Tante benedizioni”, (29.03.1936).
Quando
si ritirò in Gasperina nel 1949 mi manifesto di aver trovato un ottimo
direttore spirituale ma che era troppo lontano per lui e che avrebbe voluto
vedere o meglio parlargli a voce.
9.
Lettera di Padre Caruso
“Gradisco
i vostri auguri specialmente perché riguardano la mia santificazione e perché
letti da Gesù nel vostro cuore. Faccia Egli che diventino realtà e mi spinga in
pieno sul sentiero della perfezione prima che la morte venga a togliermi da
questo mondo. Quanto al Terz’Ordine potete stare contenta, perché ormai
comincia a funzionare bene. Che importa che vi siano di quelle che vogliono
tenersi assenti? Preghiamo che il Signore le illumini e non preoccupiamocene
neppure di quello che voi chiamate il giogo, perché, se il Signore lo vuole, dà
Lui le forze per portarlo. Io pure ero preoccupato come voi quando dovevo essere
ordinato sacerdote, perché il sistema nervoso mi si era talmente indebolito che
non potevo neppure guardare i libri. Per consiglio del confessore andai
all'ordinazione e poi, grazie a Dio, ho sempre lavorato, sebbene sempre
soffrendo, e sono ancora vivo dopo ventotto anni di sacerdozio. Allegramente e
avanti, ricordandovi che chi non soffre non è atto all’apostolato. E proprio da
voi che siete nella incapacità di lavorare, che Gesù si aspetta abbondante
apostolato, affinché voi stessa, guardando poi il bene operato, non abbiate a
glorificarvi di voi stessa, ma riconosciate che Gesù opera per mezzo vostro.
Del resto io vi ripeto che voi dovete soltanto dare l’indirizzo, ma
l'esecuzione di ciò che volete che si faccia dovete affidarlo a quelle del
Consiglio che vedete più volenterose. Desidero che le anime buone e le
terziarie preghino per una mia particolare intenzione” (27.12.1936).
10.
Lettera di Padre Caruso
“Avrei
voluto ritardare a rispondervi, dato che sono molto occupato, ma sento che è
necessario rispondervi subito per dirvi che la vostra determinazione di
lasciare la Santa Comunione e di fare penitenza viene chiarissimamente dal
demonio. Se non avete ottenuto la grazia desiderata, non è perché il Signore
voglia da voi di lasciare la Comunione e di fare penitenza, ma è perché non è
ancora venuto il momento di esaudirvi. La divina giustizia non vuole da voi
penitenze, ma obbedienza cieca! Ciò vi comando in nome di Dio di ripigliare la
Santa Comunione e di lasciare ogni penitenza. L'unica penitenza che dovete fare
è quella di rassegnarvi a portare le croci che il Signore vi manda. Ci può
essere penitenza più accetta a Dio di quella che sceglie egli stesso?
Rassegnatevi anche a portare con pazienza le vostre miserie spirituali, perché
Dio si serve anche di esse a vostro vantaggio. Rassegnazione dunque, uniformità
al volere di Dio e non altro! Vi benedico e mi aspetto piena obbedienza” (5.
07. 1937).
11.
Lettera di Padre Caruso
“Vi ringrazio per gli auguri che mi avete
fatto in nome vostro e di tutte le terziarie. Molto vi ringrazio del tesoro
spirituale, che avete offerto per me al Signore. Egli l’accolga e mi conceda
tutte quelle grazie necessarie per poter ancora lavorare utilmente per le anime
che mi ha affidate. Mi rallegro per quanto si è fatto in onore di San Domenico
e per lo sviluppo del nostro Terz’Ordine. Ne sia ringraziato il Signore.
Prendetene argomento per confidare sempre più in Dio e per spingervi a fare
cose migliori. Lo scopo per cui scrissi a mia sorella di dirvi che faceste
pregare è stato perché mi rincrescerebbe di non fare gli esercizi spirituali.
Bisogna ancora pregare, quantunque ci sia qualche miglioramento nelle mie
condizioni di salute. Lo stesso bisogna fare per i nipotini che sono ancora
piccoli e non comprendono l'importanza dei miei sforzi. Di condotta però si
comportano bene e spero si rimetteranno anche negli studi. Benedico lei e tutto il Terz’Ordine”. (27.
08. 1937) (Carlopoli).
12.
Lettera di Padre Caruso
“Ho
ricevuto gli auguri da parte vostra e delle consorelle del nostro Terz’Ordine.
Ringrazio cordialmente perché agli auguri avete voluto aggiungere le preghiere,
delle quali ho estremo bisogno per l'anima e per il corpo. Ve li ho ricambiato,
pregando spesso per tutte ed offrendovi quali vittime ogni mattina insieme con l'Ostia santa per essere immolate
con la Vittima divina a vostra e altrui santificazione. Avete detto che siete
rimasta smarrita dopo la Risurrezione, perché avreste voluto continuare a tenere
compagnia a Gesù agonizzante. Statevi in guardia, in modo che non abbiate a
seguire gli impulsi della grazia. Dovete seguire Gesù in tutto e non soltanto
nel piangere. Come Gesù non volle che San Pietro rimanesse sempre sul Tabor a
bearsi nella trasfigurazione, ma volle che prendesse parte alla sua agonia,
così Gesù non vuole che voi abbiate a “star sempre nel Getsemani”, ma richiede
che godiate della sua risurrezione. Certi esclusivismi sono sospetti, perché vi
può entrare lo zampino di satana. Gesù bisogna prenderlo intero quale si è
manifestato e non in parte. Avete detto che vi è difficile parlare e molto più
scrivere di voi. Spero che non sia così anche col vostro confessore, altrimenti
dovrei pensare ad un qualche inganno del demonio, giacché tutti i maestri di
spirito sono d'accordo nel dire che noi innanzi al nostro direttore spirituale
dobbiamo essere come libri aperti in cui egli possa leggere tutto, cioè
l'attivo e il passivo per regolare l'uno a farci distruggere l'altro.
Benedizioni a tutte ed una particolare perché vi illumini a seguire Gesù per
intero” ( 22. 04. 1938).
13.
Lettera di Padre Caruso
“Vi
rispondo in fretta per dirvi che l'autore del libro è Boccardo. Il libro è
intitolato “Confessione e direzione. Il figlio spirituale”. Appena sarà possibile
manderò i nomi delle anime vittime a Roma. Non ho mai lasciato di offrirmi come
anima vittima e continuo a farlo e a pregare per voi. Grazie delle preghiere
che fate e fate fare per me, tanto bisognoso. Siate benedetta insieme a tutte
le terziarie” (5.12.1938).
14.
Lettera di Padre Caruso
“Ho saputo che il vostro angioletto se n’è
volato in paradiso, e tanto per ottemperare ad una consuetudine vi faccio le
mie condoglianze. Né dovete meravigliarvi se vi scrivo così, perché è un vero
controsenso parlare di condoglianze mentre in cielo si fa festa per il vostro
nipote. Data la sua innocenza, non vi è neppure il minimo dubbio che in questo
momento trovasi immerso nel mare immenso della gioia infinita e che così ha
risolto per sempre il problema della sua salvezza eterna. Avessi avuto io la
fortuna che ha avuto lui! Quanti peccati di meno e quanta sicurezza di più di
quella che posseggo oggi di salvare l'anima mia! Comprendo che non si può fare
a meno di sentire lo strappo, che spiccava questo fiorellino dal seno materno,
per trapiantarlo nei giardini eterni; ma bisogna pure che riflettiamo che il
dolore di questo strappo ha anticipato il possesso dell'eterna gioia al caro
bambino e lo ha posto al sicuro. Pensate che, data la bruttezza dei tempi che
attraversiamo, se fosse vissuto sarebbe stato in pericolo di perdersi per
sempre. Perciò non fermate il vostro pensiero su quello che egli soffrì, ma
fermatelo sulle gioie che gode attualmente. Se potesse parlarvi, egli stesso vi
direbbe che non è il caso di pensare a quel poco di terra di cui era composto
il suo corpo, che ora giace nel sepolcro, ma bisogna pensare alla sua anima in
festa in mezzo ai beati. So che avete conteso con la morte ed avreste voluto
strapparlo alle sue fauci, ma Gesù ha voluto che il coro angelico si
accrescesse di una nuova voce di un piccolo martire innocente. Associatevi
anche voi da questa povera terra, in cui tanto peniamo, alla voce del vostro
nipotino e benedite se non con gioia, almeno con rassegnazione, il Signore” (2.
06. 1939).
15.
Lettera di Padre Caruso
“E’ mio dovere continuare a pregare;
continuate anche voi a pregare per me che sento particolare bisogno dell'aiuto
divino, sia per me personalmente sia per i miei (bisogni) spirituali. Intanto
cerchiamo di stare di buon animo confidando nel Signore. Se egli gradisce i
nostri ideali sa trovare la via per attuarli, quando meno ci pensiamo. A tutto
quello che mi avete detto per… ho provveduto e sono moralmente sicuro che mi
obbedirà” (5.06.1944).
Ripiglio
a raccontare ciò che appresi di lui personalmente o per mezzo di altri. Una mia
amica, parlando della santità del padre, mi disse: “A me ha profetizzato una
cosa, e cioè: gli dissi che mi venne accettata la domanda che feci di entrare
in un Istituto religioso di Reggio per farmi suora, e che avrei dovuto partire
quanto prima. Egli mi rispose: Volete andare? Andate pure, ma non starete più
di un solo giorno. E infatti così avvenne”.
Un'anima
che si manifestava a me era in pericolo di perdersi miseramente per una
tendenza morbosa che aveva verso una persona. Dietro mia esortazione si fece
coraggio e manifestò tutta la sua anima a padre Caruso, il quale seppe
provvedere prudentemente a un netto distacco e salvò entrambi dal grave
pericolo e scandalo che a momenti sarebbe avvenuto. La donna si rimise in
grazia di Dio e vi perseverò molto, ricordando sempre il bene che gli aveva
apportato il buon servo di Dio.
Dalla
sorella di lui, Suor Caterina, apprendevamo sempre il suo stato fisico e
spirituale. Questa ebbe il gran bene di essere da lui diretta. Spesso lo
seguiva anche per mesi, specie quando aveva bisogno di maggiori cure fisiche.
S’interessava dell’accomodo dei paramenti e della biancheria; dopo si distrusse
la sua cameretta al vescovado e all'Università Pio X con l'incendio, gli era
rimasto pochissimo di suo. Dopo fu mandato ad abitare dalle suore della
Redenzione, dove ebbe a soffrire non poche scomodità. Questo l'appresi da una
che era nella stessa casa di rieducazione, ma egli non seppe mai muoverne un
lamento.
Finalmente
nel 1949 si ritirò per sempre in Gasperina. Era ormai logorato nel fisico, ma
apparentemente sano. Il desiderio di lavorare non l'abbandonò mai e continuò a
confessare, a ricevere le anime per dare la sua saggia direzione. Celebrava in
chiesa alle ore 8:00 ed io ebbi il bene di ascoltare, assieme ad altre amiche,
le sue indimenticabili sante messe. Ottenne il permesso del vescovo e celebrò
nella prima camera a sinistra di casa sua per circa un anno. Lo seguimmo ad
ascoltare e a rispondere liturgicamente la Santa Messa. Una mattina non
riusciva ad allacciare il manipolo e mi ero avvicinata ad aiutarlo; egli mi
respinse dicendo che la liturgia non ammetteva questo.
(Gli
dissi:) “Padre, le consorelle bramerebbe sentire una vostra parola”. “Spero di
venire”. Ed infatti venne per l'ultima volta, (e) lui, quasi presago di questo,
disse: “A San Giovanni vecchietto lo portavano sulle braccia”; e ripeteva
sempre la medesima predica: “Sorelle, amatevi l'un l'altra, questa è l'ultima
mia esortazione; facendo questo, avrete fatto tutto”. Fu breve, ci benedisse
commosso e a stento ritornò a casa. Conoscendo la sua grande umiltà mi
permettevo ora di umiliarlo, ora esaltarlo, ma non c'era verso, non parlava di
sé né in bene né in male. (Disse:) “L'umiltà non l'ho conosciuta mai!... Ora
incomincio ad apprenderla, ma è tardi” (pochi giorni prima di morire). “Padre,
come state? “; (E lui:) “Vi dico che altro è parlar di morte altro è il
morire”. Il giusto temeva il giudizio di Dio! Non si stancava di benedire tutti
coloro che accorrevano al suo letto. Voleva celebrare assolutamente; non sapeva
omettere la Santa Messa, perché ne conosceva il pregio, perché voleva unirsi a
Gesù e tutti i giorni, come una smania, non voleva prendere alcuna bevanda, si
sforzava ad alzarsi sul letto, ed io osai perfino dirgli: “Padre, avete trovato
sempre la volontà di Dio nei buoni consigli, ora è Dio si vuol servire di
questa povera anima. Riposatevi, prendete la medicina, il latte ecc… Gesù è
stato sempre in voi è con voi”. Sorrideva, mi ringraziava e prendeva qualche
cosa.
“Padre,
Serafina vi vuole in Catanzaro”. (E lui:) “Se guarirò ci andrò”.
“E
della sua casa o fondazione che dite?”. (Lui:) “Se sono rose fioriranno”, ossia
“Se il Signore la vorrà, avrà vita”.
Nell'altra
camera, quando lui riposava, la cognata si intratteneva con noi e, piangendo,
ci parlava delle sue sofferenze sopportate molto pazientemente. Lei che si
apprestava, assieme al nipote Agostino, a curarlo, a lavarne le piaghe che già
aveva ad alcune parti del corpo, specie ai piedi, lei si sentiva onoratissima
di servirlo, poiché era convinta di servire un santo e spesso gli baciava i
piedi che egli si sforzava di ritirare, forse fingendo di non capire. Fu
durante la sua malattia che io con un’altra mia amica avvertimmo più volte,
avvicinandoci alla sua casa, un odore di gigli, di viole o di mirto. L'avvertì
anche un sacerdote che venne a visitarlo e ci disse che non sapeva come
spiegare questo fenomeno, che, venendo a Gasperina, avvertiva un odore soavissimo. Gli risposi: ”Sono le virtù
di padre Caruso”. Al Rev.mo Mons. Procopio e il reverendo Arciprete che
spessissimo visitavano, (egli) domandava con tanta umiltà la santa assoluzione,
che gli impartivano umilmente. Il 17 ottobre lo vidi per brevissimo l'ultima
volta, perché i medici facevano di tutto per guarirlo e non ammettevano che
altri entrassero nella sua camera. Il buon padre stava per finire tutte le sue
fatiche! L'indomani all'alba egli se ne volava in paradiso a ricevere il premio
meritato nel gaudio eterno. Il rev. Don Bruno Samà arrivò in tempo per comporre
la salma. Alle sei mi trovavo anch'io a quel capezzale, ove riposava il santo,
senza vita! Gli occhi rimasero semi aperti; sembrava avessero un riverbero di
vita e dicessero ancora alle anime, come San Domenico disse ai suoi figli: “Vi
sarò più utile in paradiso”.
In
quella camera addobbata con ceri e piante, vidi passare tutta la sua cittadina
che si prostrava a venerarlo, a baciargli le mani, a poggiare le corone sul suo
corpo, a domandargli ancora una volta la sua benedizione. Oh! Troppo azzardo!
Per ben tre volte gli venne cambiata la corona che stringeva nelle mani! Un
sudore imperlò la sua fronte; con cotone l’asciugai e conservai bene. Chiesi al
padre, vicina all'orecchio, una grazia che tanto bramavo e che lui conosceva.
Egli, per assicurarmi che mi avrebbe accontentata, mi parve che abbassasse
leggermente le palpebre. Dopo tre mesi ottenni la grazia che tanto bramavo.
Il
temporale che da 10 giorni sembrava non avesse tregua e allora distrusse il
Polesine, all'uscire della salma mostrò il cielo il suo bel sole e la tempesta
si calmò dappertutto.
ANGELA PAPUCCI
Presa visione e approvato. Gasperina 16.09.1961. Sac. Piparo Nicola - Parroco
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