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martedì 14 febbraio 2012

5. LA VITA E LE OPERE DI UN SANTO



di Don Giuseppe Cosentino
e Katia Passante
in "Sellia , culla d'arte"

"Un fascino misterioso si sprigionava dalla sua persona. I suoi pensieri, le sue parole erano ispirate da una profonda interiorità ma era, soprattutto, la sua vita, il suo sacerdozio integralmente vissuto che gli conferivano una misteriosa autorità, che si imponeva all'ammirazione e all'imitazione. Un santo uomo, quale egli era, non poteva sbandierare ai quattro venti la sua santità. Nascondeva quanto più poteva; però si avvertiva il profumo delle sue virtù; si capiva di trovarsi dinanzi ad un Sacerdote gigante, dominato dallo spirito di Dio". [1] Ciò è quanto scrissero di Don Francesco Caruso, un grande sacerdote, che visse veramente da Santo come fu evidente agli occhi di quanti lo conobbero e lo amarono. La figura di questo sacerdote esemplare, di cui è in atto il processo di beatificazione, è strettamente legata a Sellia, perché proprio qui svolse, per quattro anni, il suo primo ministero sacerdotale come parroco. Ancora oggi è vivo, nel paese, il ricordo dell'opera di bene da lui compiuta. Egli visse e lavorò nel silenzio e nella più profonda umiltà, schivando le lodi terrene. Fu un sacerdote tutto di Dio e delle anime, un vero sacerdote di Cristo. Come Gesù "coepit facere et docere": prima mise in pratica il Vangelo con la sua vita intemerata, poi lo predicò. Fu un modello di vita sacerdotale: umile, esemplare, caritatevole, intelligente, "l'homo Dei", l'uomo di Dio, strumento meraviglioso nelle Sue mani. Ebbe la volontà di farsi Santo ad ogni costo, prefiggendosi un duplice scopo: la gloria di Dio e la salvezza delle anime e non venne mai meno a questi suoi fermi propositi. Certo, anche egli, come tutti i Santi, conobbe la via del Calvario e abbracciò in silenzio la sua croce di dolore, fatta di sofferenze fisiche, mortificazioni morali e penitenze volontarie. Tutta la sua vita fu, infatti, un continuo atto di fede e di completa adesione alla volontà di Dio, a cui si abbandonò con la più toccante uniformità cristiana e sacerdotale.

[1] G. Pullano, La forza di un ideale.

Francesco Caruso nacque a Gasperina il 7 Dicembre 1879 da una famiglia di umili origini contadine. Decimo di quindici figli, fra cui due sacerdoti e due suore, Francesco venne battezzato lo stesso giorno della nascita. Ebbe degli ottimi genitori. Il padre Agostino e la madre Maria Innocenza Celìa, entrambi animati da una grande fede e da una non comune laboriosità, educarono i loro figli nel timor di Dio, infondendo nei loro cuori sentimenti di bontà e di virtù. Nella sua fanciullezza si riscontrano gli stessi episodi che si leggono nella vita di alcuni grandi Santi, come S. Giovanni Bosco e il Santo Curato d'Ars. Fin da piccolo, Francesco rivelò le sue belle doti di mente e di cuore, mostrandosi premuroso del bene del prossimo. Era l'angelo della famiglia: aiutava il padre nei lavori dei campi e la mamma nelle faccende domestiche, frequentando con molto profitto la scuola. Ben presto, manifestò una certa inclinazione per il sacerdozio: ascoltava ogni giorno con visibile pietà ed in ginocchio la S. Messa, si accostava alla S. Comunione e recitava con tanto raccoglimento e devozione il Rosario. Inoltre, riuniva in casa i fratelli, i cugini ed i vicini per insegnare loro il catechismo. Quando fu in grado di ben discernere, egli sentì in fondò al cuore la voce di Dio che lo invitava a seguirlo. Francesco ascoltò questa voce, soave ed imperiosa allo stesso tempo, accogliendola e custodendola gelosamente nel suo cuore. Essere sacerdote divenne il suo ideale, il suo desiderio ardente, incontenibile, la meta che egli doveva raggiungere ad ogni costo. Finite le scuole elementari, egli espresse questa sua intenzione ai genitori, che accolsero la proposta del loro figliolo con commozione ma con altrettanto disagio, poiché non avevano danaro per pagare le spese del Seminario, visto che già un altro figlio, Vincenzo, aveva intrapreso gli studi ecclesiastici. Francesco pregò, supplicò affinché venisse assecondato il suo desiderio ma non ci fu niente da fare di fronte alle ristrettezze economiche della famiglia. Fu così che, rassegnato ed ubbidiente, accettò la decisione dei genitori e si dedicò al lavoro dei campi. Egli conobbe la vita dura ed il lavoro pesante ma non disprezzò mai questa condizione, sopportando la stanchezza per amore del Signore. Nonostante tutto però, continuava a sperare di diventare sacerdote. All'età di diciassette anni, si arruolò volontario per anticipare il servizio militare ed entrare poi in Seminario. Iniziò il servizio militare nel 1896 e vi rimase per ben tre anni, amato e benvoluto da tutti. Ritornato in famiglia, iniziò le pratiche per essere ammesso in Seminario: aveva vent'anni. Entrò nel Seminario di Catanzaro e vi trascorse nove anni. Si dimostrò un seminarista modello: era rispettoso ed ubbidiente e studiava con profitto. Per tali motivi, si guadagnò la stima e la simpatia sia dei superiori che degli altri seminaristi. Francesco fu ordinato sacerdote il 18 Aprile del 1908 e, un anno dopo, nel 1909, venne nominato parroco di Sellia. Entrò in questa parrocchia come il buon Pastore, col preciso proposito di ricondurre all'ovile le pecorelle smarrite a somiglianza del Pastore Divino. Egli considerava, infatti, la parrocchia non un beneficio economico ma una porzione della mistica vigna del Signore, che il sacerdote doveva diligentemente coltivare. Iniziò, quindi, il suo lavoro, accostando i parrocchiani per conoscerne l'indole, le abitudini, il grado di istruzione ed il livello della vita cristiana. Diede molta importanza all'istruzione religiosa, specialmente al catechismo dei fanciulli. Per meglio attirare i bambini al catechismo ed invogliare i genitori a mandarli, mezz'ora prima dell'ora stabilita, Don Francesco Caruso faceva suonare la campana più piccola di quelle presenti nella torre campanaria della chiesa di S. Nicola di Bari. Ai ragazzini accorsi per primi al suono della campana, egli consegnava un campanello ed essi, scuotendolo a ritmo accelerato, dovevano percorrere le vie del paese, cantando questa strofetta paesana: " padri e madri mandate i vostri figli alla dottrina cristiana, che è l'Angelo Custode che li chiama…". In lui l'amore per i fanciulli era così sentito che, tutte le sere, dopo la santa messa, si intratteneva con loro, giocando e narrando loro piacevoli aneddoti sulla vita dei Santi. Promosse, inoltre, la frequenza ai sacramenti e la devozione alla Madonna. Devotissimo al Rosario, raccomandò tale preghiera ai suoi fedeli come arma infallibile contro il male. Egli si mise al servizio di tutti i suoi parrocchiani ed era sempre in continua attività: assisteva con ogni cura gli infermi, soccorreva i poveri con generosità e con grandi sacrifici personali, insegnava a leggere e scrivere e, chiamato di notte, accorreva ad assistere i moribondi. Curò, perfino, i restauri della Chiesa di S. Nicola di Bari, rifacendone il pavimento. Tale lavoro si presentò, però, molto difficile e costoso, perché fu necessario scavare fino alla profondità di quattro metri per rimuovere tutte le ossa dei cadaveri lì sepolti. Padre Caruso, che amava molto il Signore, amò molto anche il prossimo. Amava tutti i suoi parrocchiani ugualmente, senza lasciarsi vincere dal sentimentalismo, dalle simpatie o dalle antipatie personali. Nell'amministrare il sacramento della Confessione, si mostrava molto comprensivo dei limiti e delle debolezze umane, infondendo fiducia nella misericordia di Dio. Fu, però, anche molto severo con se stesso e con gli altri, ma la sua austerità era temperata dalla sua grande bontà e motivata da un benevolo intento. A Sellia fu stimato da tutti proprio perché non si risparmiava per il bene delle anime. Tuttavia, durante il suo ministero sacerdotale in questa parrocchia, egli conobbe anche le spine, suggello dell'opera di Dio. Benché cercasse, con modi garbati e parole dolci, di eliminare i tanti sconcertanti abusi introdotti dalle Confraternite contro alcune norme liturgiche, subì, per questo, lotte ed ingiurie da parte dei dirigenti di tali associazioni. Il popolo Selliese apprezzava, però, la rettitudine, lo zelo ed il lavoro dell'arciprete e, perciò, lo venerava e lo seguiva. Tutti lo consideravano un Santo. Il profumo della sua santità traspariva nella celebrazione della santa messa, si notava il contatto con Dio. Egli saliva sull'altare santamente compenetrato del mistero che si accingeva a celebrare. Le sue omelie erano semplici ed istruttive, permeate da una pietà e da un fervore che si comunicava ai fedeli, i quali si persuadevano, facilmente, che colui che parlava doveva essere un "Sacerdote tutto di Dio". Durante i quattro anni qui trascorsi, anche Don Francesco Caruso si affezionò ai suoi parrocchiani, che corrispondevano, generosamente, alle sue cure e, quando, nell'Ottobre del 1912, per ubbidienza a S. E. il Vescovo De Maria, dovette lasciare la parrocchia di Sellia, sentì fortemente lo strazio di quel distacco. Non avendo il coraggio di licenziarsi dal suo popolo e per evitare, nella sua modestia, manifestazioni esterne in suo favore, egli salutò i suoi figlioli spirituali con una bella lettera, sostanziosa nel contenuto e permeata di affetto, qui trascritta per intero, perché rivela tutti i sentimenti squisiti del suo nobile animo.

Ai carissimi miei Filiani in Sellia

Catanzaro, 25 Dicembre 1913
Figlioli carissimi,
La voce del Signore, che mi chiamò a voi quattro anni or sono, m'impone oggi di lasciarvi. Grande, lo sento, è il dispiacere della nostra separazione, perché grande n'è stato l'attaccamento e perché credevamo che non avremmo dovuto mai separarci su questa terra, prima di quel giorno in cui la morte ci avrebbe strappato all'affetto reciproco. Voi eravate contenti della mia pochezza, io trovavo in voi un campo più che sufficiente all'azione del mio ministero e perciò altre aspirazioni non turbavano i nostri cuori. Non pensavamo, però, che spesso sono diversi dai nostri i disegni della Provvidenza Divina, la quale vede le cose infinitamente meglio di noi, meschine creature, e tutto ordina al maggior bene, quantunque noi non sempre arriviamo a conoscere il bene medesimo. Ma ora il bene di Dio ci è manifesto e bisogna che noi, da veri seguaci del Nazareno Gesù, il quale innanzi al calice amarissimo della Sua Passione e Morte, si rassegnò al volere del Padre Suo Celeste, ci rassegniamo e diciamo a Lui: non sia fatta la mia, ma la tua volontà. Questo atto di santa rassegnazione, mentre ci attirerà le benedizioni dell'Altissimo, varrà pure a far ritornare la calma nell'animo nostro, turbato per la nostra separazione. Rassegnato dunque, io vi lascio nel nome del Signore, rinnovandovi tutti i consigli ed avvisi che con cuore di padre vi ho dato nel tempo della mia dimora costì, in privato ed in pubblico, affinché, almeno da lontano, io possa avere la consolazione di sapervi sempre devoti ed accetti a Dio. In special modo vi raccomando l'orazione e la frequenza dei SS. Sacramenti della Confessione e della Comunione, perché come il corpo languisce e muore senza il cibo materiale, così l'anima languisce e muore alla grazia senza il cibo spirituale. Vi raccomando, inoltre, l'obbedienza, il rispetto, e l'attaccamento a colui, il quale sarà chiamato da Dio ad esservi Pastore dopo di me, perché chiunque sarà eletto, sarà sempre il vostro duce nell'acquisto dell'eterna beatitudine, ove io spero di avervi compagni nuovamente e per sempre. Ringrazio tutti per quanto affetto e stima mi avete sempre addimostrato e specialmente quelli che avete avuto per me particolari cure e mi avete aiutato nell'operare il bene. Di tutti serberò grato ricordo, innalzerò per tutti ferventi suppliche al Signore e spero che anche voi vi ricorderete di me nelle vostre orazioni. Vorrei venire costì a darvi l'addio col vivo della voce, ma per ora non mi è possibile. Vi mando da qui il mio saluto, come espressione sincera dei miei paterni sentimenti verso di voi e, come col grido di pace entrai per la prima volta in Sellia, così col saluto di pace mi licenzio. Sì, la pace di Gesù che gli Angeli annunziarono festanti in questo giorno di universale esultanza, sia sempre tra voi e Dio mercé l'esatta osservanza dei vostri doveri; sia in voi stessi mercé la purità delle vostre coscienze; sia reciprocamente tra voi mercé l'esercizio della carità cristiana, che non offende alcuno e tutti perdona e benefica! La pace sia con voi!

Aff.mo vostro Arciprete
Sac. Francesco Caruso

Il popolo Selliese pianse molto il trasferimento del caro arciprete. Importanti incarichi vennero, successivamente, affidati a Padre Caruso in riconoscimento dei suoi meriti e in segno della grande stima e dell'enorme fiducia che i superiori nutrivano nei suoi riguardi. Nel 1912, venne nominato Rettore del Seminario di Catanzaro e, poi, nel 1920, Padre Spirituale dello stesso. Si dedicò totalmente al Seminario, che divenne la sua casa, la sua famiglia, il suo tutto. Fu realmente per tutti un padre: il maestro, la guida ed il consigliere dei seminaristi. Sotto di lui il Seminario diede alla diocesi di Catanzaro tanti ministri di Dio, santi e dotti. Pochi anni dopo, venne eletto anche parroco della Stella in Catanzaro e nella stessa città, nel 1923, ricoprì anche l'ufficio di Canonico Penitenziere della Cattedrale. Nominato Direttore del Terzo Ordine Domenicano della città di Catanzaro, accolse un buon numero di terziarie, che si prodigarono per i poveri e gli emarginati della città. Nel 1944, fondò la "Casa dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria" per l'assistenza ai ragazzi orfani e ai disagiati, affidati alle cure delle terziarie. Egli ebbe, inoltre, una buona formazione culturale e religiosa. Scrisse, infatti, due opuscoli molto semplici ma incisivi: "La Sposa Cristiana" riguardo il matrimonio e l'educazione dei figli, e "La Guida del Piccolo Seminarista", un piccolo trattato di ascetica, destinato alla formazione e alla santificazione dei futuri sacerdoti. A questi va aggiunto, anche, un manoscritto, che rappresenta un piccolo codice di vita spirituale. Tutta la vita di Padre Caruso fu un intreccio di preghiera e penitenza. Egli soffrì molto nel corpo e nello spirito, sia per i numerosi malanni che affievolirono la sua già gracile costituzione, sia per l'incomprensione degli altri. Ma per quanto soffrisse egli non lasciò mai trasparire i suoi patimenti ed accettò il dolore senza sfuggirlo. Sentiva in sé il bisogno di offrirsi pienamente come vittima al Signore per la conversione e la salvezza di tutti i peccatori. Si uniformò in tutto alla volontà di Dio. Anche lui avvertì lo sconforto ma seppe superarlo attraverso la grazia divina, avanzando ogni giorno verso la santità. La sofferenza fu per lui mezzo di espiazione e di santificazione. Secondo lo spirito conforme ad alcuni Santi, grandi penitenti, egli si inflisse, anche, delle penitenze corporali, mortificando il corpo con alcuni strumenti di penitenza (la cintura di ferro, puntellata di spilli, che cingeva attorno ai fianchi; gli anelli di ferro che metteva alle braccia e alle ginocchia; il flagello con cui si dava la disciplina), che sono, oggi, conservati nella "Casa di Carità dei Sacri Cuori" di Catanzaro. Durante l'ultimo periodo della sua vita, lo stato di salute del parroco, già indebolito per il troppo lavoro e le non lievi sofferenze, peggiorò ulteriormente, costringendolo a letto. Fu proprio durante la sua ultima malattia che, alcuni, avvicinatosi alla casa dove egli abitava, avvertirono più volte un profumo soave come di gigli e viole, di cui non è facile avvertire l'eguale; lo stesso odore che altri avevano sentito provenire dal confessionale in cui egli amministrava questo sacramento. In seguito all'aggravarsi delle sue condizioni fisiche, Padre Caruso morì il 18 Ottobre 1951 nella sua casa di Gasperina, circondato dall'affetto dei suoi cari. La salma venne continuamente visitata da tutti. Compaesani, parenti, amici, sacerdoti, terziarie e figli spirituali accorsero a venerarla: molti baciavano le mani del Padre, quasi per chiedergli la benedizione; alcuni mandavano un bacio di devozione; altri si inginocchiavano. Per quanto egli avesse disposto che i suoi funerali fossero semplici, furono, invece, un vero trionfo, non preparato ma spontaneo. La chiesa e la piazza adiacente erano, infatti, gremitissime di persone con gli occhi imperlati di lacrime. Dopo il solenne funerale, la salma, inizialmente tumulata nella tomba di famiglia, venne deposta nella Cappella riservata ai Sacerdoti del cimitero della sua città natale. Attualmente riposa nella Chiesa Madre di S. Nicola Vescovo di Gasperina. Sebbene siano trascorsi circa cinquanta anni dalla morte di Padre Caruso, il suo ricordo continua a vivere attraverso i suoi insegnamenti ed i tanti esempi di virtù che egli ha lasciato, sia a Gasperina dove nacque, sia nell'Arcidocesi di Catanzaro-Squillace, dove esercitò il suo ministero.

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