di Don Andrea Perrelli
Padre Caruso è il primo canonico a sinistra
Dopo
l'apertura della cattedrale, frequentandola quotidianamente e servendo messa ad
alcuni canonici e in particolare a Don Paolo Aiello penitenziere e mio
precettore nelle materie letterarie, ho appreso quanto segue riguardo la figura
del canonico Caruso o Padre Caruso
come veniva familiarmente chiamato in città.
Ha
arricchito la sua vita con il dono di una fede semplice e autentica, dove la
fiamma della fede e dell'amore misericordioso del Signore diventava per lui
autentica testimonianza, che si irradiava dall'altare al confessionale.
Affermava Don Paolo che era edificante vederlo pregare, raccolto ai piedi del
tabernacolo, con il capo chino, le braccia incrociate, il breviario vicino, con
un sorriso sereno che dava piena conferma di un colloquio intimo con il “suo
Gesù”, dove i suoi occhi penetranti e dolci, ma soprattutto rassicuranti,
scrutavano i cuori e i meandri della coscienza. Deciso affermava Mons. Fragola,
decano del capitolo, chiaro, netto nell'esprimere i suoi pareri, ma si capiva
che era la verità a guidarlo. Una carità, affermava Mons. Fragola, umile,
nascosta, che non offendeva mai nessuno. Visitava i bassi delle
“rughe”(quartieri) della città portando conforto e viveri. Dolce, sereno, pacato
e amorevole, era dispensatore del perdono a quanti si rivolgevano a lui per
avere la pace del cuore, quando l'anima non funzionava bene, affrontando
sempre, come ripeteva Don Paolo, “temi morali con alto senso di responsabilità,
coerenza e tale consapevolezza ha innervato la sua vita sacerdotale”.
Il
canonico Aiello ripeteva che ogni qualvolta Don Caruso guardava la bella statua
del Sacro Cuore venerata in cattedrale, i suoi occhi brillavano e salmodiava
“Gesù ti amo!”. Al vedere così, diceva Don Paolo, in quelle mura risuonava
leggera la voce di Dio. Un angolo tutto suo, dove non entrava nessuno.
“Ascoltare, parlare, confortare”, diceva Don Paolo, “è stata l'equazione
algebrica che padre Caruso ha saputo bene sviluppare nei suoi appuntamenti con
Dio e con i penitenti”. “Vado dinanzi al tabernacolo e parlo a Gesù” e Gesù,
diceva Don Paolo, gli rispondeva sempre.
La
signorina Assunta La Cava, nipote diretta del vicario generale Canonico
Salvatore La Cava, ai tempi di Monsignor Fiorentini, affermava che padre Caruso
aveva una grande confidenza nella provvidenza; sempre calmo, pronto a risolvere
i problemi dei poveri e amava ripetere alle signore e signorine dell’Opera dei tabernacoli per le chiese
povere: “Con l'umiltà si conquista il cielo”, diceva San Vincenzo e la
signorina La Cava affermava che nel cuore di padre Caruso c'era un “pezzetto di paradiso, che custodiva
gelosamente”.
“La
carità - è sempre la La Cava a parlare di padre Caruso - era infinita,
soprattutto verso gli orfani, e diceva il P. Caruso che era la sua compagna di viaggio nei tuguri della
città che lo precedeva, sorreggendolo con la mano”.
Il
parroco della Stella Don Alberto Mancini, mio amico, vicino di casa, poeta e
studioso in campo letterario, affermava che padre Caruso aveva tanta luce e
dolcezza nello sguardo che conquistava chi l'avvicinava. Affermava che aveva
ricevuto grandi grazie dal Signore e mai, neanche con i suoi più vicini, ha
lasciato trasparire le grandi grazie che aveva ricevuto dal Signore. Silenzio,
sempre completo. Quando Don Mancini gli declamava la poesia “Dio” di Aleardo
Aleardi, si commuoveva fino alle lacrime e, secondo Don Mancini, non tradì mai
il più bel segreto della sua vita: i colloqui con Gesù, le locuzioni interiori
che hanno infiammato sempre il suo cuore e abbagliavano i suoi occhi. Affermava
ancora il Mancini: “In tutto il suo portamento fuoriuscivano tante virtù che
sembravano stelle in cielo, vivendo “per Gesù e per Gesù solo”, come amava
ripetere P. Caruso.
Monsignor
Salvatore Durante, canonico e rettore della Basilica dell'Immacolata, lo
definiva di carattere dolce, sempre cordiale, sereno. Ebbe grandi meriti verso
i poveri, infermi, pronto a confortarli nelle loro malattie e nell'amministrare
i sacramenti. Le sue virtù erano singolari e derivavano dalla sua fede. Nel
confessionale era capace di attirare a Gesù anche le anime più lontane, curando
le miserie dell'anima, e veniva definito il “confessore della città”. L'amore a
Gesù e a Maria ha guidato tutta la sua vita. Il canonico Aiello che ha celebrato
per moltissimi anni la Santa Messa vespertina e quella domenicale alle ore
12:00 in basilica, quando parlava insieme al canonico Durante il Don Caruso, il
loro comune pensiero era che: P. Caruso con la sua vita è stato un dono a Gesù
e da Gesù ai fratelli, nell’umiltà, nel nascondimento, durante gli orrori della
guerra, con un cuore disinteressato e puro.
La
marchesa Rachele La Pinna in Sandoz, abitante nel mio palazzo, morta
ultranovantenne da pochi anni, quando il primo venerdì del mese le portavo la
Santa Comunione, parlava spesso di padre Caruso. Quando era educanda
dell’Educandato di via Tripoli, diceva che era colpita dalla sua dolcezza, dal
tono pio con il quale recitava la “Salve Regina”, ai piedi della Madonna e
c'era qualche cosa nei suoi occhi, come se vedesse la “dolce Signora del cielo”
come la chiamava. Inculcava alle educande la recita del Rosario, il portare la
medaglia miracolosa, consigliando le educande a recitare le giaculatorie e
aggiungere “ Suor Labouré, Suor Labouré, Suor Labouré, intercedete per me
presso la Santa Vergine”. Mi ha dato tanti consigli illuminanti e mi è stato
vicino in alcune situazioni tristi e delicate della mia vita e i suoi discorsi
finivano quasi sempre con il nome di Maria e la sua voce tenue e silenziosa non
si esauriva mai di affidarci alla Madonna e di sentirsi benedetti e amati da
lei, ripetendoci: “Pregate la Madonna, pregate sotto il suo manto, sotto il suo
manto”. Le suore della carità della Stella, suor Teresa, suor Angela, suor
Onorina, morta centenaria, quando mi recavo all'orfanotrofio, parlavano spesso
di Don Caruso, affermando che l'arcivescovo Fiorentini lo teneva in gran conto
per il suo illuminato consiglio e la prudenza, unita ad una carità nella
verità, nel saper affrontare le questioni più delicate con la sapienza del
cuore e della mente. Le suddette suore affermavano, dei doni che aveva,
soprattutto nel sacramento della confessione, dove nello scrutare i cuori e le
coscienze, sapeva donare forza e fiducia per andare avanti e quando qualcuno
era in agonia non lo lasciava mai, pregando con fervore, preparandolo
all'incontro con il Signore, ripetendo sempre alle suore “Siate come San
Vincenzo, le piccole serve dei poveri, servite Gesù nei poveri. Meditate le
parole di S. Vincenzo…”.
Concludo
questi miei ricordi che, pur allontanandosi nello spazio dei giorni e del
tempo, sono autenticamente vivi nel mio cuore ancora più, sotto la santità del
giuramento sul Santo Vangelo, dinanzi al tribunale del misericordioso e
benedetto Signore, con le parole lette sul manuale di morale che il canonico
penitenziere Don Paolo Aiello teneva nell'armadietto del Duomo: “Fa, o Signore,
che nel mio servizio di penitenziere emuli sempre più le virtù del mio venerato
predecessore P. Caruso” e la bella espressione che il parroco di San Biagio Don
Antonio Cosentino, che mi battezzò ed ebbe la gioia di impormi le mani nel
giorno della mia ordinazione; mi disse, baciandomi le mani, fresche del sacro
crisma: “Sii buono, umile, caritatevole, eucaristicamente pio, con pensieri
adoratori di Gesù solo”, come diceva e inculcava ai sacerdoti Don Caruso.
Con
la fervida preghiera al sommo ed eterno Sacerdote di vedere Don Caruso con
l'aureola dei santi. Allora la Chiesa, arricchita della varietà dei doni dei
suoi figli, potrà apparire come “una Sposa adornata per il suo Sposo” e per
padre Caruso un riconoscimento della forza dei puri di cuore, di coloro, cioè,
del quale Gesù ha detto che sono “beati … perché vedranno Dio”.
Sac. Andrea
Perrelli
Catanzaro, 10.03.2012.
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