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martedì 22 maggio 2012

16. TESTIMONIANZA DON GIUSEPPE BIAMONTE


Cenni biografici sulla vita di Mons. Francesco Caruso
Conobbi per la prima volta l'arciprete Caruso all'età circa di cinque anni. Ricordo che venne per la santa Visita Pastorale a Sellia Superiore Monsignor Di Maria, Vescovo di Catanzaro. Mi recai in Chiesa con mio padre e vidi che vi era il Vescovo seduto in trono ed al suo fianco l'arciprete Caruso e d'intorno un buon numero di giovani e giovinette.
Il Vescovo domandava loro il catechismo, ma pochi sapevano rispondere.
Senza accorgermene l'arciprete, sceso dal trono, viene a prendermi, si siede accanto al Vescovo, mi fa sedere sulle sue ginocchia e dice a Monsignor Di Maria: "Eccellenza, interroghi questo fanciullo". Venni interrogato sui primi elementi della dottrina cristiana e risposi esattamente. Il Vescovo mi baciò regalandomi una medaglia e disse ai presenti: “Avete sentito come un fanciullo ha risposto così bene alle domande del catechismo e voi che siete grandi non sapete rispondere".
Ricordo che l'arciprete Caruso fece costruire il pavimento della navata centrale della Chiesa matrice facendo togliere le ossa dei cadaveri ivi sepolti che vennero trasportati al cimitero.
Durante il periodo che fu arciprete di Sellia esercitò l'ufficio di Rettore del Seminario Diocesano di Catanzaro, ma lo vidi di rado perchè al suo posto in Sellia funzionava il Sacerdote D. Pietro Sgrambiglia; durante le vacanze stava a Sellia e tutte le sere raccoglieva i ragazzi e le fanciulle al catechismo: dopo il catechismo, insieme alle persone più grandi recitavamo il santo rosario e poi impartiva la benedizione eucaristica. Usciti dalla Chiesa tutti i ragazzi andavamo con lui a passeggio oltre il cimitero: i più piccoli andavamo innanzi correndo e l'arciprete restava indietro con i più grandi. Qual era lo scopo? Oltre il cimitero, sopra la strada esisteva una pianta di mele ancora acerbe e noi con pietre ed altri mezzi facevamo cadere le mele per mangiarle.
Prima ancora che arrivasse l'arciprete Caruso nessuno di noi si faceva trovare vicino la pianta. Però pagai cara la mia innocente monelleria, perché tra le sudate di svariate sere ed il mangiare quelle mele acerbe venni colpito dal tifo per cui fui costretto stare a letto per ben due mesi con rigorosa dieta da ridurmi pelle ed ossa e per divin miracolo non finii in cimitero. Mi ricordo ancora che quando Caruso veniva a Sellia durante le vacanze, sempre conduceva con sé un certo Pristerà vestito da borghese e non da seminarista.
Alcune volte vennero con lui alcuni seminaristi ed io, appena lo seppi corsi in casa di Caruso ed i seminaristi mi domandavano il catechismo e poiché rispondevo esattamente, mi regalavano immaginette e medaglie. Quando entrai in Seminario seppi che fra quei seminaristi vi era Mons. Canino. Per qual motivo l'arciprete Caruso lasciò Sellia? Mio padre, che fu sempre a fianco di Caruso, spesse volte mi raccontò che il movente dell'allontanamento dell'arciprete Caruso da Sellia ebbe origine dalle Congreghe e particolarmente da quella dell'Immacolata. Secondo le consuetudini del tempo, il priore si considerava il vero dominatore della Chiesa, per cui l'arciprete doveva stare in tutto e per tutto sotto il dominio del priore e quindi doveva ubbidire alle sue disposizioni. Certamente era un contro senso, per cui non poteva mancare la lotta formale tra il priore e l'arciprete Caruso, il quale teneva informato il Vescovo di quanto accadeva.
Un giorno il signor Francesco Placida, priore del tempo, mandò a chiamare in casa sua l'arciprete Caruso; questi vi andò. Il Placida con arroganza maltrattò l'arciprete Caruso fino a tal punto da chiamarlo figlio di pellaio, aggiungendo che avrebbe fatto meglio ri­tirarsi da Sellia. Fu quella la causa per cui immediatamente il Vescovo di Catanzaro diede a Caruso il posto di rettore del Seminario in forma definitiva.
L'arciprete Caruso, piangendo, si congedò dai suoi parrocchiani e non mise più piede a Sel­lia. (Il fatto che Caruso sia stato chiamato da Placida figlio di pellaio solo mio pa­dre n'era in conoscenza in quanto Caruso esclusivamente con lui si confidava).
La parrocchia di Sellia, con Caruso aveva preso un profilo di grande progresso spirituale e quando le cose disgraziatamente cambiarono spesso sentivo che mia madre diceva: "Sel­lia non fu meritevole di avere come arciprete Caruso ch'era un santo." Simile espressione ho potuto sentire ancora da diverse persone di Sellia.

Mons. Caruso Rettore del Seminario Vescovile di Catanzaro
In Sellia avevo frequentato le scuole elementari; mio padre aveva il vivo desiderio ch'io entrassi in Seminario per ascendere al sacerdozio.
In quel periodo si svolgeva la prima guerra mondiale: Rettore del Seminario era Mons. Caruso. Mio padre fece la richiesta di mandarmi in Seminario, ma Mons. Caruso non mi poté accettare a causa della guerra.
Dopo due anni, il primo settembre 1919, essendo cessata la guerra, entrai in Seminario ed ebbi come Rettore Mons. Caruso.
Durante l'anno scolastico 1919-1920 ricordo ch'era molto vigilante e solerte per la disciplina: sedeva sulla cattedra durante lo studio e mi accorsi che teneva fasciate le gambe con bende bianche: da qualche compagno seppi che faceva ciò perché sentiva freddo a causa della sua accelerata arteriosclerosi.
Durante che ci trovavamo in camerata, sorvegliava dallo sportellino esistente al centro della porta e tutte le sere non mancava di fare la sua capatina quando tutti ci met­tevano a letto. Ricordo che in un pomeriggio eravamo in camerata ed alcuni facevano un poco di chiasso, particolarmente Ferrari Gregorio da Taverna.
I1 Rettore Caruso stette ad osservare per un paio di minuti dallo sportellino, poi pian pianino aprì la porta e prese di spalle Ferrari richiamandolo e percotendolo con le chiavi che teneva in mano, mentre Ferrari cercava di scolparsi dicendo che aveva det­to soltanto qualche parola. Ricordo ancora che spesso ci conduceva nella Chiesa della Stella, dove era parroco, per assistere a particolari funzioni che ivi si svolgevano ed alcune volte andavamo ad ascoltare la santa messa nei giorni festivi. Tutto il peso della disciplina      del Seminario gravava su di lui perché non vi era vicerettore.
Ricordo ancora che qualche volta si vedeva in mezzo a noi con un frustino di finocchio. Esisteva anche la cella, ma in quell'anno non se ne fece uso, salvo caso particolare a me ignoto. Anche durante il passeggio giornaliero non mancava la sua presenza in mezzo a noi.

Mons. Caruso Padre Spirituale del Seminario Diocesano
All'inizio del nuovo anno scolastico 1920/1921 da parte di Mons. Caruso cessava l'attivi­tà di Rettore del Seminario per assumere quella ancor più delicata di Padre Spirituale, attività che svolse con la massima scrupolosità e piena dedizione.
Infatti, ogni mattina, dopo la meditazione, celebrava la santa messa con una compostezza degna e lodevole al sacro rito ed al grande sacrificio. Nel pomeriggio vi era la lettura spirituale: la sera partecipava direttamente alla recita del santo rosario; egli iniziava e noi seminaristi lo seguivamo: dopo indossava cotta e stola ed impartiva la benedizione.
Durante la mattina studiava, particolarmente la morale, stando inginocchiato sulla sedia. Ogni sera ascoltava le nostre confessioni e dirigeva le nostre coscienze compiendo questo lavoro a turno per ciascuna camerata.
La confessione e la direzione spirituale erano di grande conforto per il nostro spirito, perchè il consiglio era adorno di un sentimento altamente paterno e l'insegnamento adeguato alla nostra intelligenza. Sapeva ben scrutare nel cuore, per cui il suo indirizzo riusciva molto efficace da avviare sempre al bene il nostro animo.
Durante la mia permanenza nel Seminario Diocesano ebbi varie occasioni di poter esperi­mentare la grande generosità dell'animo e del cuore di Mons. Caruso.
Frequentavo il secondo ginnasio; eravamo alla fine del mese di marzo dei 1922 ed in quel periodo, per tre cause concomitanti, fui colpito da bronco polmonite doppia. Il caso era gravissimo per cui le trepidazioni d'Infelise, medico curante, erano ansiose.
Venni trasportato all'infermeria e si applicarono tutte le cure necessarie al caso.
La febbre era altissima ed in certi momenti deliravo, ma avevo la piena percezione di quan­to accadeva intorno a me. Vidi vicino al mio letto tutti i parenti e cari compagni che a turno mi visitavano ed alcuni anche mi assistevano (fra questi particolarmente il defunto arciprete D. Giuseppe Frangipane):  il medico Infelise veniva tre volte al giorno a visitarmi e per due notti non tralasciò di essere al mio capezzale.
Ma fra le tante persone ve n'era una che continuamente giorno e notte mi assisteva; era il Padre Spirituale Caruso che spesso mi cambiava la biancheria tutta piena di sudore, e poiché aveva compreso che le maglie ch'io avevo non erano sufficienti per essere con­tinuamente cambiate, a sue spese, comperò altre due maglie per me. Ma la sua opera non si limitò a questo: egli durante la malattia svolse un triduo insieme ai seminaristi in onore di S. Giuseppe e le preghiere non furono vane, ma efficaci perché al quinto giorno della dura fase incominciò in me un miglioramento e nel settimo giorno la febbre cessò completamente. La cura fu abbastanza lunga e non dimentico che la generosità di Mons. Caruso continuò verso di me. Un giorno mi chiese le ricette del medico e dopo due ore mi consegnò ricette e medicine, dicendomi: Non dire nulla, neanche a tuo padre di quel che ho fatto, cerca di curarti e studia per quanto ti senti in forza senza preoccuparti di dover perdere l'anno in corso: ormai il programma è quasi finito, anche se ti resta qualche ma­teria potrai riparare ad ottobre. Le sue parole mi diedero un grande incoraggiamento e mentre prima avevo insistito con mio padre a volermi portare a casa perchè realmente non potevo studiare, da quel momento mi rianimai, continuai a studiare lentamente ed il mio sacrificio fu anche ricompensato perché i professori furono benevoli negli esa­mi approvandomi in tutte le materie.
Non mi sfugge l'affetto che Mons. Caruso nutrì verso il Cancelliere Vescovile D. Lorenzo Silvagni. Questi dormiva e mangiava in Seminario: quel poveretto era stato colpito da un cancro nella gola, per cui quando parlava neanche lo si poteva capire. Ricordo bene che Mons. Caruso                                         non si distaccava dal suo fianco ed ogni sera passeggiava con D. Silvagni lungo il corridoio: vi furono circostanze in cui D. Lorenzo dovette stare a letto e Mons. Caruso era sempre al suo capezzale.
Fra tanti fatti, uno particolarmente è rimasto impresso nella mia mente.
Il parroco della Maddalena, D. Vitaliano Perrone (appartenente al ceto dei baroni) negli ultimi anni decrepiti della sua vita,  venne abbandonato perfino dai suoi beneficati parenti (pretesto o realtà, di una certa pazzia) e trovò soltanto rifugio in Seminario, abitando una stanzetta adiacente alla sala dell'udienza. L'unico conforto di quel poveretto era Mons. Caruso che, quando poteva, gli teneva com­pagnia; quando era ammalato lo assisteva in tutti i modi necessari e quando Antonio, il cuoco del Seminario, a cui era stata affidata la cura di D. Vitaliano Perrone, non poteva assisterlo durante che mangiava, lo assisteva Mons. Caruso portandogli direttamente il mangiare in bocca. L'assistenza non fu di mesi, ma di parecchi anni. La scena culminante av­venne il giorno della morte di D. Vitaliano Perrone: essendo rimasto a letto per diverso tempo, le sue membra fecero le piaghe; nessuno osava avvicinarlo e soltanto Mons. Caruso era l'infermiere di Don Vitaliano e nel giorno del suo decesso vidi Mons. Caruso che tagliava con una forbice la camicia che indossava D. Vitaliano, attaccatesi fortemente alle sue carni piagate e puzzolenti.
Rifulse in Mons. Caruso una profonda umiltà e semplicità di vita. Il suo modo di camminare era modesto, teneva non solo gli occhi, ma anche la testa bassi: passava quasi tutte le ricreazioni e particolarmente quelle intermedie tra le ore di scuola del mattino e quelle ultime della sera in mezzo a noi, giocando a dama ed a scacchi e le passava a turno con le diverse camerate.

Mons. Caruso confessore e padre spirituale nel Seminario S. Pio X
Erano trascorsi sei anni nel Seminario Diocesano: entrai nel Seminario Regionale S. Pio X di Catanzaro ed anche lì ebbi la felice sorte di avere come confessore e direttore spiri­tuale Mons. Caruso. Egli infatti era stato assunto anche nel Seminario regionale come confessore e per me fu una fortuna poterlo avere ancora per altri sette anni come con­fessore e guida spirituale della mia coscienza. Ricordo che molti miei compagni e moltissimi altri delle diverse classi scelsero Mons. Caruso come confessore e padre spi­rituale e quasi tutti restarono fedeli a\lui fino al compimento degli studi.
Per lunghe ore stava ad ascoltare le nostre confessioni che si effettuavano durante l'ul­timo studio della sera, per cui Mons. Caruso era costretto ritornare nel Seminario Diocesano luogo di sua continua residenza, a tardissima ora e durante l'inverno rientrava in sede scendendo con la tranvia che faceva servizio Catanzaro - Pontegrande e viceversa.
Ma non sempre riusciva a prendere il mezzo, perchè il tempo non era sufficiente ad ascoltare le confessioni, per cui era costretto ritornare a piedi.
Una sera d'inverno pioveva a dirotto ed io gli dissi:  Padre, sentite come piove fortemente, non scendete, dormite qui." "No, caro, mi rispose, domattina devo trovarmi puntuale a celebrare la santa Messa in seminario; ho l'ombrello, questo sarà sufficiente a potermi riparare, ma spero di fare a tempo per scendere con la tranvia.
Verso metà d'anno scolastico del secondo liceo sentivo in me la tendenza di farmi reli­gioso domenicano. Non parlai con alcuno, ma non potevo tacere di fronte al mio confessore e direttore spirituale. Quando gli manifestai la volontà di farmi religioso domenicano, mi disse: "Prega il Signore perché possa illuminare prima me e poi te; lascia perciò far trascorrere del tempo, perchè si potrebbe correre il rischio di non divenire sacerdote. Fin da questo momento ti dico che hai una costituzione molto gracile e la regola a cui dovresti sottoporre sarebbe abbastanza dura per te ".
Riflettei seriamente e pregai per diversi mesi e la conclusione fu conforme al consi­glio del mio direttore spirituale.
Così trascorsi altri sette anni nel Seminario Regionale sotto la vigile scorta di Mons. Caruso ch'ebbe la felice consolazione d'imporre le mani sul mio capo il 4 agosto I932, giorno fatidico della mia consacrazione sacerdotale.
Anche dopo aver preso messa non tralasciai di avere come confessore e, particolarmente, direttore spirituale Mons. Caruso; ascoltai ancora i suoi consigli, mettendoli in pratica. Nel mese di giugno dell'anno 1935 l'Arcivescovo Monsignor Fiorentini m'invitò ad accettare il trasferimento dalla Parrocchia di S. Giovanni d'Albi a quella di Pontegrande. Monsignor Arcivescovo mi disse: "Ho stabilito di trasferire Cosentino dalla Parrocchia di Pontegrande a quella di Gagliano; se vuoi trasferirti a Pontegrande dopo che Cosenti­no sarà partito a Gagliano, potrai trasferirti anche tu".
Risposi a Mons. Arcivescovo: "Eccellenza, la ringrazio infinitamente per l'affetto che mi ha sempre dimostrato, le sarò anch'io sempre grato e riconoscente. Per il trasferimento a Pontegrande non prendo una immediata decisione, la prego concedermi lo spazio di pochi giorni e poi le darò la risposta definitiva". Va bene, fai pure, mi rispose l'Arci­vescovo e mi congedò.
Mi recai subito da Mons. Caruso e gli esposi il caso. La risposta fu sollecita, dicen­domi: "La Parrocchia di Pontegrande non può essere retta da te, perché richiede un lavoro superiore alle tue forze fisiche, è molto vasta, non è concentrata, ma sparsa e con diversi rioni di campagna;  si estende fino a S. Elia: le domeniche dovresti celebrare tre sante messe compresa quella di S. Elia e dato che il tuo fisico è piuttosto debole, sono cer­to che non potresti sostenere tale onere." Sottoposta la mia volontà al consiglio e  direttiva di Mons. Caruso, lo accettai ben volentieri per cui, dopo alcuni giorni mi re­cai dall' Arcivescovo, lo ringraziai della proposta fattami, ma gli risposi che la Parroc­chia di Pontegrande non potevo accettarla perché era un peso superiore allo mie forze fisiche.
Dopo alcuni anni potei constatare che il consiglio di Mons. Caruso era stato molto savio. Infatti in un mese di agosto ebbi l'occasione di supplire nella Parrocchia di Pontegrande il Parroco D. Antonio Scozzafava recatosi per dieci giorni in altra località, per un corso di santi spirituali esercizi ed in quella circostanza dovetti sostenere un lavoro superiore alle mia forze fisiche per cui, fra me stesso, dissi: "Ebbe perfettamente ragione Mons. Caruso a consigliarmi di non accettare la Parrocchia di Pontegrande".
Mons. Caruso fu mio direttore spirituale fino al giorno in cui rimase nella Casa del Buon Pastore sita nelle adiacenze di Pontegrande, poi si ritirò a Gasperina, suo paese nativo, e dal quel momento non potei più vederlo; soltanto dopo un certo periodo venni in conoscenza ch'era morto.
Il mio dolore fu profondo, ma nello stesso la mia tristezza s'irradiò di una grande gioia, perchè pensai ch'era morto una santo sacerdote e le sue preghiere al cospetto del Signore mi avrebbero accompagnato ancora, nel corso dei mio apostolato in mezzo alle anime affidate alle mie cure. Convinto ch'egli abbia avuto la felice sorte di godere la visione di Dio immediatamente dopo la sua morte, ho pregato e pregherò sempre il Signore a voler premiare il suo servo fedele con gli onori degli altari.                Sac. Giuseppe Biamonte, Arciprete Sellia Superiore.

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