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sabato 25 febbraio 2012

9. LA PERSONALITA' E LA SPIRITUALITA'




 
LA PERSONALITÀ E LA SPIRITUALITÀ DEL SERVO  DI DIO

1.      La personalità
Dopo aver letto tutti gli scritti di e su Padre Caruso e la biografia scritta da Mons. Pullano, ci siamo fatti del Padre un’idea ben precisa. Che dire della sua personalità?
Con il postulatore Don Innocenzo Lombardo, che ha conosciuto e ha tanto stimato  Padre Caruso, come suo figlio spirituale, possiamo così definire la sua personalità:
 • Di carattere volitivo e sensibile,
  Acuto nella sua intelligenza,
  amabile e signorile nei tratti,
  essenziale nel suo stile di vita.
Grandissima personalità sacerdotale
Paziente e diuturno confessore
Inestimabile Direttore spirituale
Guida ricercata di sacerdoti e laici consacrati.
Invece di fare osservazioni di ordine psicologico, ci piace a questo punto scorrere a larghe linee la sua vita e la sua attività per scorgere in essa i caratteri salienti del suo agire, del suo pensare e del suo comportarsi. Appare subito chiaro che egli era un uomo intelligente e volitivo, che dava alla vita spirituale il primato su tutti gli altri interessi. Sapeva che la vita è un immenso dono di Dio da amare e da vivere in pienezza. Ed egli ha vissuto la vita accogliendola con gratitudine, rispetto e senso di responsabilità.
Pur essendo un uomo di preghiera portato alla contemplazione, era anche un uomo di grande azione, dalle larghe idee, capace di coinvolgere. Se riuscì a promuovere la nascita del Terz’Ordine Domenicano a Catanzaro e a Gasperina con diverse centinaia di iscritti, di cui più di venti nella sola Gasperina abbracciarono la vita consacrata, questo è un segno del suo carisma. Molte energie il Padre le indirizzò per la formazione del laicato cattolico. Tra le associazioni aveva uno sguardo amorevole, in sintonia con la chiesa, per l’Azione Cattolica, che promuoveva in mille modi. Così la definisce: “E’ l'apostolato dei fedeli sotto la dipendenza della gerarchia cattolica”. “Appartiene al suo apostolato: la stampa, la moralità, l'organizzazione della carità, l'istruzione catechistica, l'apostolato della famiglia, quello della preghiera, l'apostolato sociale”[1]
La formazione del laicato (sia del terz’Ordine Domenicano che dell’Azione cattolica) aveva questi elementi cardini: esercizi spirituali, meditazioni, istruzioni, comunione frequente, adorazione, esame di coscienza, confessione, direzione spirituale.
Nella vita, Padre Caruso appariva come un uomo mite, dolce, e aveva una salute cagionevole. In lui non c’erano sensazionalismi. Sapeva lavorare nel silenzio delle coscienze e sapeva caricarle di valori evangelici. Era capace di conquistare il cuore delle persone, perché egli, per primo, era conquistato dal cuore di Cristo e dal cuore di Maria.
Fin dall’infanzia “ebbe un'educazione religiosa molto solida e profonda in una famiglia che aveva accolto come dono di Dio ben quindici figli”. Così lo ricorda il primo postulatore Don Innocenzo Lombardo, suo figlio spirituale[2]. Il “dono di Dio” della vita, della famiglia, della vocazione e della fede l’aveva conquistato. Al dono egli corrispondeva con il “grazie”. La sua vita è stata tutta un grazie. Da qui la sua serenità, la sua pacatezza, la sua bontà tanto apprezzate dai suoi testimoni. Eppure il dolore era il suo pane quotidiano: i suoi acciacchi di sciatica, le sue emicranie, l’ipertensione lo facevano soffrire tanto.
Continua Don Innocenzo: “Per aiutare il sostentamento della famiglia, dopo la istruzione elementare, lavorò nei campi e poi si arruolò vo­lontario per il servizio militare”. Il legame alla terra forgiò il suo carattere e lo mantenne sempre nella concretezza.
 “Dopo il servizio militare, all'età di venti anni, nel 1899 domandò di essere accolto nel Seminario di Squillace, ma i Superiori del tempo non lo accettarono. Il giovane non si scoraggiò per tale rifiuto e, rivelando fin da allora un tratto caratteristico della fortezza della sua personalità, si rivolse al Seminario di Catanzaro. Mons. Bernardo De Riso accolse il giovane Caruso e lo affidò alle cure del Rettore Sac. D. Gioacchino Pace”.
A venti anni ancora aveva la cultura delle scuole elementari. L’allenamento della vita scolastica tra i banchi l’aveva perso da tempo. Eppure il giovane Francesco s'impegnò profondamen­te, curando la formazione dello spirito e della mente: pun­tò sulla Grazia e sul suo desiderio di corrispondervi.
Il Sabato Santo, 18 aprile 1908, fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Catanzaro dal nuovo Vescovo della diocesi Mons. Pietro Di Maria. Iniziò la sua avventura sacerdotale nel 1909 come parroco di Sellia, poi nel 1912 come Rettore del Seminario Minore a Catanzaro, carica che mantenne fino al 1920. Dal 1916 fino al 1923 fu anche pastore d’anime nella vicina parrocchia della Stella in Catanzaro. Il 1920 Padre Caruso lasciò il lavoro di Rettore del Seminario e venne nominato da Mons. Fiorentini Padre Spi­rituale del Seminario Minore. “La sua guida illuminata si estese anche agli alunni del nuovo Seminario Regionale S. Pio X, voluto con lungimirante tenacia dal Papa per la formazione dei formatori delle Chiese di Calabria”. Padre Caruso  può essere  considerato giustamente  il formatore di tutto il clero del secolo scorso della Calabria. Ricorda don Innocenzo: “Schiere innumerevoli di sacerdoti devono al Padre lo spessore e la fecondità del loro sacerdozio. Un lavoro intenso svolto nel silenzio, nella preghiera e nell'offerta della vita. Questo lavoro porterà una meravigliosa ricchezza di grazia e di doni alla Chiesa delle diocesi calabresi, particolarmente di Catan­zaro e Squillace”.
L'11 giugno 1923 il P. Caruso venne nominato Canonico Pe­nitenziere della Cattedrale di Catanzaro con Bolla Pontificia di Pio XI, ministero che mantenne fino alla morte. Padre Caruso (così era da tutti chiamato e conosciuto) divenne il confessore di Catanzaro, come a Padova nello stesso periodo fu il cappuccino Padre Leopoldo da Castelnovo, ora santo.
Ricorda Don Innocenzo: “Il confessionale diventa l'altare del sacrificio della sua vita. Molti a Catanzaro ricordano due mani fuori della tendina del confessionale, colle dita intrecciate che sgranano un rosario: é il padre Caruso che tutti i giorni, mattina e sera, attende, prega e amministra il perdono di Dio”.

2.      La spiritualità

Così Don Innocenzo ha descritto la spiritualità del Padre:
Anima di profonda vita interiore centrata su:
un grande amore all’Eucaristia e alla Madonna,
sempre unita a Dio con la preghiera,
in un costante e penitente dominio di sé;
Luminoso nella sua fede;
Ardente e infaticabile nel suo amore a Dio e al prossimo;
Esemplare per la sua umiltà e obbedienza alla Chiesa;
Angelico nel suo voto di vita consacrata;
Grande nell’offerta lieta della sua vita,
per il Signore,
per la chiesa,
  per la formazione dei sacerdoti.
Per tutta la vita Padre Francesco Caruso visse di obbedienza al suo Vescovo, che considerava il vicereggente di Dio[3]. Attento alla Parola del Signore, che si manifestava a lui attraverso le indicazioni e gli ordini del suo Vescovo,  Padre Caruso disse quotidianamente il suo fiat a Dio con lo stile del magnificat di Maria. La corona che portava sempre nelle sue mani era la forza motrice del suo immolarsi quotidiano in seminario, in parrocchia, nel confessionale, sui pulpiti e nei vicoli angusti della citta di Catanzaro, dove tanti poveri  e malati erano da lui visitati e accompagnati con amore e sollecitudine. Scrisse Padre Caruso nel suo testamento, “Per i poveri e altre opere di beneficienza ho dato in vita[4]. Noi possiamo dire: “Ai poveri Padre Caruso aveva dato tutta la vita”.
Nella celebrazione eucaristica il Padre si beava della contemplazione del mistero di Cristo e in esso si perdeva, o meglio, si ritrovava. Ogni istante della vita lo viveva come un’immolazione d’amore per il suo Signore, con l’intenzione della santificazione del clero e la salvezza dell’umanità. Tutta la giornata partiva dalla Eucarestia e in essa convergeva. Egli scriveva a Caterina Gallelli nel 1920:  Un'anima che riceve ogni giorno questa grazia, può dire di non aver più nulla a desiderare né in questo né nell'altro mondo, perché possiede Gesù e Gesù è tutto su questa terra e in cielo. Oh! Davvero, quanto è grande la bontà del Signore, che si degna di elevare le povere creature umane sino al possesso di Lui, sino all'immedesimazione con Lui”[5]!
Intimamente unita alla celebrazione eucaristica era la devozione a Gesù Crocifiso. Fece il proposito: “Farò ogni giorno come potrò la via Crucis”[6].
Un altro aspetto della spiritualità del Padre era la sua ascesi, che viveva, non solo dando all’esame di coscienza e alla meditazione un ruolo importante, ma anche con esercizi fisici di penitenza (cilizi, discipline e mortificazioni).
Dice Don Innocenzo: “Il Padre Caruso visse in un continuo spirito di penitenza, ben conscio che una profonda vita dello spirito non può reggersi e crescere senza il dono corrisposto di un dominio delle tendenze negative, che sono in ogni essere umano dopo il peccato d'origine. Era meraviglioso in lui che questo dominio penitenziale di sé, lungi dal produrre nei suoi atteggiamenti esteriori qualcosa di deprivante e mortificante, conferiva invece al suo volto un aspetto di luminosità”.
Continua Don Innocenzo: “Il Padre viveva e agiva sempre nel dominio di , parlava con calma e parsimonia, ma con calore e affetto nei momenti educativi. Si percepiva che le sue parole non erano logore e in superficie, ma provenivano da un convincimento e da un’esperienza vitale. La sua presenza, pur nella ricerca del nascondimento e aliena da ogni ostentazione, era autorevole e dava un senso di soggezione che non incuteva timore ma venerazione. Eppure questa sua eccezionale mitezza sapeva assumere, nei momenti educativi di fronte a comportamenti negativi, atteggiamenti molto energici e forti”.
Circa il suo modo di vivere il ministero della riconciliazione, è illuminante questo proposito: “Ogni volta che entro in confessionale voglio fare un atto d’immolazione e pregare Gesù e Maria che mi aiutino ad immolarmi, e voglio dire: Mio Gesù, Madonna mia, voi avete portato le vostre croci, io voglio portare le mie. Aiutatemi”[7]!
Poiché in questa Relazione bisogna dire anche gli aspetti delicati della vita del Padre, questi, secondo il nostro parere, sono le grosse sofferenze spirituali (non solo fisiche) di cui Padre Caruso più volte parla o nelle lettere o nel suo libretto spirituale. Si tratta di sofferenze, che lui percepiva come volute dal Signore per una sua crescita interiore nell’umiltà e nella confidenza totale in Dio. Lui le sopportava e accettava con gioia, finalizzandole, soprattutto alla santificazione dei sacerdoti. Presentiamo, a mo’ di esempio una serie di queste frasi:
Nel 1927 il Padre scrive a Serafina Caliò:
“Dobbiamo far festa (soffrendo anche io tutti i giorni o quasi la mia corona di spine sul capo) di essere ascritti nel numero delle anime predilette di Gesù. Beato chi ama Gesù ed ha la fortuna di soffrire per Lui, se non allegramente, almeno con rassegnazione!”[8].
A Caterina Gallelli scrive nel 1929: 
“Abbiamo un motivo ancora più nobile per gioire nei nostri dolori ed è che, soffrendo, diventiamo simili a Gesù e, come anime vittime, compiamo la sua stessa missione di redenzione delle anime, insieme con Lui […] Bisogna pregare e ti aggiungo anche che bisogna soffrire in unione con Gesù, per ottenere la santificazione dei nostri santificatori. La sola preghiera non basta”[9].


Nel 1937 il padre ancora scrive:
 “Mi dispiace delle vostre nuove croci, ma vi ricordo che senza croci non ci possono essere meriti e che noi ci siamo offerti come anime vittime a nostro Signore. Si può essere vittima senza soffrire? È necessario dunque che ci mettiamo nelle mani del Signore e trasciniamo con il suo aiuto le nostre croci. Se non abbiamo forza noi, ce ne ha per noi il Signore”[10].
A Teresina Procopio nel marzo 1939, confida:
“Non ti sgomentino le tenebre, perché è proprio quando più lo spirito è torturato che più guadagna. Se tu avessi consolazioni spirituali, andresti avanti con più gioia, ma con minore merito. Saresti come quel bambino che obbedisce alla mamma, non per amore di lei, ma per amore dei dolci, che lei gli dà. Pensa, dunque, che non ti trovi sotto l'ira di Dio, ma nel tempo di mietitura. Si capisce che il mietere sotto la sferza del sole è doloroso, ma è poi una grande gioia vedere i granai pieni di grano. Non devi pretendere di sentire l'amore di Dio in modo sensibile, devi contentarti di sapere che sei tutta sua e che sei pronta a morire per Lui … Della mia salute che dirti? Sono nelle mani di Dio, faccia Egli quello che crede meglio per me e per le anime! … prega per il mio povero spirito, che ha anch'esso le sue tremende torture. Purché sia tutto ciò a gloria del Signore e al bene delle anime non mi importa di soffrire anche questo”[11].
Il 25 luglio 1940 il Padre, mentre guida spiritualmente Serafina Caliò, apre il suo cuore:
“Prego il Signore che ti aiuti a portare la croce, come devi fare tu per la croce mia, che mi amareggia spesso i giorni e le notti e mi fa vedere enormemente orribile la mia situazione spirituale. Provo sollievo soltanto nel pensare i rappresentanti di Gesù che mi assicurano che posso stare tranquillo e che ho fatto i primi venerdì, che porto l'abitino del Carmine, ecc… Ciò, però, non impedisce che ogni 4 o 5 giorni il fenomeno si ripeta ed io debba di nuovo lottare per rialzare il mio spirito. Stamattina, dopo quasi due giorni ed una notte d'inferno, ho potuto celebrare la Santa Messa  con calma e con un po' di consolazione. Il tuo desiderio di essere offerta con Gesù nella Santa Messa è già appagato, perché sono diversi anni che offro ogni mattina nella Santa Messa tutte le anime vittime, insieme a quelle dei miei cari, per essere vittime insieme a Gesù”[12].

Nell’ottobre del 1941 il Padre scrive a Teresina Procopio:
“Quando ti senti soffrire, unisci le tue sofferenze a quelle di Gesù, per renderle meritorie e poi offri all'Eterno Padre per il tuo apostolato e specialmente per la santificazione dei sacerdoti. Vorrei che tutte le anime offrissero le proprie pene per i sacerdoti, perché, santificati i sacerdoti, tutto diventa santo; senza di essi, ordinariamente, nulla si santifica. Prega per me, che porto e debbo portare croci molto grandi”[13].
Nel 1941 il Padre scrive a Serafina Caliò:
“Fai bene a pregare per me, che ne ho sempre molto bisogno, come farai bene a pregare e fare atti di immolazione in unione alla Vittima Divina per tutti i sacerdoti, specialmente per quelli che ne abbiamo più bisogno […]. L'impulso che senti di soffrire e pregare per i sacerdoti meno buoni, per ottenere la loro conversione e santificazione, è un impulso buono e puoi secondarlo. Devi però protestare che, se Gesù nella sua bontà può servirsi di te per richiamare sulla retta via qualche traviato, tu non cessi di essere quella miserabile che sei e che quello che opera la santificazione è Lui. Disprezza ogni sentimento di compiacenza e pensa soltanto al dovere che tutti abbiamo di cooperare con Gesù alla salvezza e santificazione delle anime, specialmente sacerdotali”[14] “Continuiamo a fare atti di riparazione e a pregare per la santificazione dei sacerdoti”.
E ancora le scrive nel luglio del 1943:
“Sono stato torturato dai miei soliti guai spirituali […] Ora mi sono alquanto acquietato riguardo alle sofferenze spirituali, perché mi abbandono nelle mani del Signore e della Madonna[15]”.
Nel novembre 1949 il Padre scrive sempre a Serafina Caliò:
“Il riposo mi ingrassa e al lavoro non posso mettermi. Ieri e oggi non ho potuto celebrare, perché il medico non vuole che esca col cattivo tempo ed io stesso sento che mi fa male ai reni. Non so che decisione prendere. Mi metto nelle mani di Dio perché Egli decida[16].
Nel marzo 1950 il Padre ancora scrive:
“Oggi speravo di poter celebrare, ma mi sono sopraggiunti i dolori artritici, che m’impediscono di camminare. Ne sia ringraziato il Signore, che si degna di castigarmi in questo mondo per evitarmi i castighi dell'altro”[17]!
“Ho tutte le cicale del mese di luglio nella testa e il cuore di tanto in tanto dà degli sbalzi. In queste condizioni ben poco potrei fare, se venissi costì. […] Godo che i lavori  della Casa dei SS. Cuori progrediscono ed auguro sempre meglio. Continua a sorridere e a confidare nei SS. Cuori, sempre che gli altri cercano di scoraggiarti. Dopo tutto l'opera non è per te, ma per gli infelici. […] Io non desidero altro che amare la volontà di Dio[18].
Possiamo concludere questa carrellata, dicendo che l’accettazione con compostezza interiore di queste sofferenze, che il Padre chiamava “tremende torture”, arricchivano di meriti la sua vita: era la notte  buia di cui parlano i mistici; era il deserto di cui parlano i profeti. Dio lo conduceva a bere il calice che Gesù aveva bevuto sul Calvario. Con la pedagogia della croce, attraverso una purificazione che lo scarnificava, fatta di obbedienza e di abbandono fiducioso, Dio plasmava gradualmente il cuore e la mente del suo eletto secondo l’immagine di Gesù risorto.
La criticità (la sofferenza spirituale) appare alla fine un valore aggiunto nella Causa.
La parola della conclusione di questo studio l’affidiamo al postulatore Don Innocenzo Lombardo, che nel passato si è tanto impegnato per diffondere nelle moderne generazioni la forza esemplare di Padre Caruso e curarne la sua fama di santità:
 “Egli, (Padre Caruso), non ha compiuto gesti straordinari, non ha rivestito cariche o uffici di particolare prestigio, eppure la sua vita è stata eccezionale nell'umiltà del lavoro quotidiano e il suo magistero spirituale è stato autorevole e incisivo. La sua forte e mite personalità è stata caratterizzata da una intensa vita interiore. Le virtù teologali della fede, della speranza e della carità, vissute in grado eroico ma in maniera quasi a lui connaturale, trasparivano quasi plasticamente dal suo volto sereno e raccolto e dal suo incedere calmo ed austero […] Il suo aspetto quasi luminoso, faceva trasparire una personalità d'intensa e profonda vita di preghiera, quasi assorta in interiore contemplazione”[19].


[1] Volume secondo, pag. 222.
[2] Cfr. Volume primo, doc. 48, pag. 96-97. Le altre citazioni le trarremo da questo studio del postulatore Don Innocenzo Lombardo e da quello successivo, pure scritto da Don Innocenzo (Doc. 49, pag. 98-103).
[3] Proposito:Penserò spesso che il mio Vescovo e gli altri miei superiori sono i vicegerenti di Dio per meglio obbedirli, rispettarli ed amarli” (Volume secondo, pag. 201).
[4] Volume secondo, pag. 272.
[5] Volume secondo, pag. 122.
[6] Volume secondo, pag. 200.
[7] Volume secondo, pag. 299.
[8] Volume secondo, pag. 129.
[9] Volume secondo, pag. 126.
[10] Volume secondo, pag. 135.
[11] Volume secondo, pag. 186.
[12] Volume secondo, pag. 137.
[13] Volume secondo, pag. 187-188.
[14] Volume secondo, pag. 138-139.
[15] Volume secondo, pag. 140.
[16] Volume secondo, pag. 151.
[17] Volume secondo, pag. 157.
[18] Volume secondo, pag. 158.
[19] Volume primo, pag. 98.
 








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