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venerdì 20 gennaio 2012

1. RICORDO di DON FRANCESCO ANTONIO CARUSO : Conferenza di Mons. A. Cantisani

"UN'ATTUALITA' SORPRENDENTE A SESSANTA ANNI DALLA MORTE"

Gasperina 19 gennaio 2012

E' ancora viva, almeno tra i presbiteri, l'eco dell'anno sacerdotale indetto nel 2009 da Papa Benedetto XVI allo scopo di "promuovere l'impegno d'interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte e incisiva testimonianza evangelica nel mondo d'oggi". In quella occasione raccolsi un certo numero di figure di sacerdoti calabresi che avevano operato nel secolo scorso e che, distintisi in particolar modo per la loro interiorità, avrebbero potuto esser presentati ad esempio insieme a S. Giovanni M. Vianney. C'era ovviamente tra essi il nostro P. Francesco Antonio Caruso. Sono grato a chi mi ha chiamato a parlare qui stasera a 60 anni dal suo transito: mi viene offerta l'occasione per dire, essendomi avvicinato un po' più attentamente a questo grande sacerdote di Gasperina, che egli presenta un'attualità che non temo di definire "sorprendente". E cerco di dimostrare la mia affermazione tenendo presente almeno dieci indicazioni che il Papa dava ai sacerdoti perché, sull'esempio del S. Curato d'Ars, vivessero oggi la loro vocazione pienamente e gioiosamente.

1. P. Caruso ebbe per tutta la vita una viva autocoscienza della sua identità sacerdotale. Si potrebbe dire di lui quanto affermava Pio XI di quell'altro grande prete meridionale che fu il Beato Domenico Lentini: sacerdos sine adiunctis. Espressione che io traducevo così: "prete-prete". E l'ultimo suo biografo, Angelo Mantonati, "prete e basta".
Francesco Antonio era stato affascinato sin da piccolo dall'ideate del sacerdozio. La storia della sua vocazione è semplicemente emblematica. Ci potremmo fare un trattato dal titolo: "Quando si dice vocazione". Se c'è, gli ostacoli non fanno che autenticarla.
Appena ebbe finite le scuole elementari Francesco Antonio disse ai genitori: "Voglio farmi prete", chiedendo di poter entrare in Seminario. Commozione e disagio di quei pur ottimi genitori: c'era già in Seminario un altro fratello, Vincenzo, e una famiglia di 15 figli proprio non ce la faceva a pagare una seconda retta. Francesco non si scoraggiò: continuerà ad andare in campagna col papà e ad imparare a fare il contadino. Tornò presto alla carica: arrivò a proporre al padre di vendere la quota di proprietà che gli spettava e col ricavato sostenere le spese per il mantenimento in Seminario. Inimmaginabile, per quei tempi.
Ma Francesco non cambiò idea. Quando arriva ai 17 anni, per togliersi il pensiero del servizio militare, decide di partire volontario. Ed è anche fortunato: perché, arruolato in fanteria, fu destinato a Catanzaro. Rimase in grigio-verde tre anni. Fece anche parte della banda musicale, imparando a suonare la tromba. Anche la musica gli servirà per il suo ministero sacerdotale.
Incredibile, forse, umanamente, ma vero: si era rafforzata, durante il militare, la sua volontà di farsi prete. A 20 anni bussa allora al Seminario di Squillace. Ma non viene accolto: mons. Raffaele Morisciano, che pure era un santo vescovo, gli dice di no a motivo dell'età.
Delusione, anche pianto. Ma quando il Signore chiama, non c'è ostacolo che possa far paura. Francesco ne è convinto. Va allora a bussare alla porta del Seminario di Catanzaro: quella grande figura di pastore che era mons. Bernardo Maria De Riso l'accoglie, affidandolo al rettore del Seminario, mons. Gioacchino Pace, un uomo pio e colto. E dopo 7 anni circa di Seminario, durante i quali/ soprattutto attraverso l'esperienza della comunità, la sua personalità si era fatta ancora più forte, giunge il giorno tanto atteso: 19 aprile 1908, nella Chiesa cattedrale di Catanzaro, Francesco Antonio viene ordinato sacerdote dal nuovo vescovo, mons. Pietro Di Maria.
P. Caruso fu sempre consapevole di ciò che si era verificato nella sua persona con l'ordinazione presbiterale. Oggi si è assolutamente sereni sull'identità del sacerdozio ordinato, specialmente dopo l'Esortazione post-sinodale di Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, potendoci tutti ritrovare nella definizione che dava del prete quel santo Pontefice: "segno sacramentale di Gesù Cristo, pastore, capo e sposo della Chiesa". In forza dell'ordinazione, il presbitero rende presente Cristo pastore.
Ed è proprio quel che intendeva P. Caruso quando pensava di essere diventato quel giorno alter Christus ("un altro Cristo"). C'è negli appunti che egli prese durante un corso di esercizi spirituali, una frase quanto mai significativa: "II sacerdote è una nuova creazione di Gesù [...]. La sua dignità lo pone al di sopra di tutte le creature e perciò la sua grandezza morale dovrebbe essere la più grande per dar maggior gloria at Creatore" . Dice proprio così: "nuova creazione". E difatti lo Spirito Santo trasforma il candidato al presbiterato nel più profondo dell'essere e lo configura – ontologicamente – a Cristo pastore.
II Caruso non si stancherà mai di dir grazie per il dono ricevuto. Basta pensare al testamento (18/12/1929) in cui scrive: "Prego ogni creatura a lodarlo [il Signore] e benedirlo e ringraziarlo insieme con me per gli immensi ed innumerevoli benefici di cui ha voluto essere largo con me e specialmente per avermi sollevato dall'abisso delle mie miserie alla sublime dignità di sacerdote e formatore di sacerdoti" .
Se si è convinti dell'identità del sacerdote e perciò della sua necessità, come sottolineava Papa Wojtyla ("Il prete, l'essere più necessario, perché Cristo è più che mai necessario"), non si può non sentire il bisogno (e, peraltro, è un preciso dovere) di promuovere le vocazioni agli ordini sacri. Ebbene, anche su questo P. Caruso fu pioniere: fu il primo a interessarsi dell'O.V.E. (Opera Vocazioni Ecclesiastiche) nella città di Catanzaro e poi a Gasperina. Fu lui, anzi, a tracciarne il primo statuto. Va ricordato che in quel momento storico si arrivava a dire che, chi non aveva i mezzi per mantenersi in Seminario, significava che non aveva la vocazione.


A 60 anni dalla morte del Servo di Dio (7.12.1879 - 18.10.1951)2. Poiché P. Caruso aveva una viva e ogni giorno nuova consapevolezza del dono ricevuto col suo fondamentale riferimento a Cristo, egli - ed è il secondo punto - scelse nella maniera più assoluta Gesù Cristo come unica ragione della sua vita. Per usare una frase cara al Lentini, "Gesù fu il suo tutto". Sentiva di appartenergli. Il suo amore al Signore era caratterizzato dalla radicalità. Ecco perche egli sottolineava la necessità di "distaccarsi da tutto, da tutti, da me stesso per amare meglio Dio". Ecco perché volle legarsi al Signore con i voti della povertà, della castità, dell'obbedienza. Era il 3 marzo 1941. A proposito della povertà mi piace sottolineare il suo equilibrio. Scriveva: "Intendo che il voto di povertà abbia per oggetto di non fare d'ora in poi spese superflue, non mantenere per mio uso più di una muta d'abito e di calzature in buono stato e un'altra molto usata, non più di sei capi di biancheria eccetto per i fazzoletti, di non fare per me riserva di denaro e di contentarmi dei cibi che mi si danno" . Era, poi, entusiasta della castità, che "ci lega a Dio col mistico sposalizio" . Ma quanto equilibrio anche su questa virtù! Sì, "non doveva fermare il pensiero con piena deliberazione su ciò che riguarda le cose contrarie a tale virtù", e aggiunge: "Nemmeno per esaminarmi". Accennerò appresso all'obbedienza: qui riporto una frase che mi piace davvero: "Si fa più profitto con un solo atto di obbedienza, che con cento digiuni a pane e acqua".
Tra i "ricordi" degli esercizi spirituali, c'e un'espressione che gli piaceva davvero tanto: omnia vincit amor (cioè "l'amore di Gesù vince ogni cosa). L'amore di Gesù, soprattutto, è la certezza di essere amati. Certo, la sua interiorità è essenzialmente cristocentrica. Ne fissava il contenuto nella dossologia della Messa: per ipsum, cum ipso et in ipso. Fare tutto per Lui, con Lui e in Lui, "considerandoci così intimamente uniti, da essere una sola cosa con Lui, come il Padre è una sola cosa con Gesù . Perciò si proponeva di vivere il momento presente sotto lo sguardo di Dio .
Proprio perché per P. Caruso la persona di Gesù Cristo è la perla preziosa di cui parla il Vangelo, il tesoro per il cui acquisto, pieni di gioia, si vende tutto, egli sentì il bisogno di far corrispondere all'identificazione sacramentale a Cristo l'identificazione esistenziale. Così penserà qualche tempo dopo il suo amico e forse penitente il Servo di Dio P. Francesco Mottola, il quale dirà: "Sono Cristo: dunque devo configurarmi a Lui!".
C'è, al riguardo, nel Diario di P. Caruso una frase quanto mai significativa: "Mi tratterrò ogni sera con Gesù, dicendo dapprima: Vergine SS., Gesù è il pittore, io sono la tela, preparatemi, affinché faccia di me una sua bella immagine". Segue subito la preghiera: "0 Gesù, eccomi innanzi a Voi, trasformatemi senza preoccupazioni di sorta" .
Sapendosi mandato a salvare le anime, P. Caruso volle ovviamente configurarsi a Cristo come ostia che s'immola appunto per la salvezza di tutti. Perciò volle iscriversi all'"Associazione delle anime vittime". Ribadirà spesso il proposito di essere così. In una sua lettera scrive: "Noi ancora abbiamo un motivo più nobile per gioire nei nostri dolori ed è che, soffrendo, diventiamo simili a Gesù e, come anime vittime, compiamo la sua stessa missione di redenzione delle anime, insieme a Lui" . P. Caruso aveva davvero capito che tanto più autenticamente è vissuto il sacerdozio, quanto più c'è identificazione tra sacerdote e ostia.
A questo punto mi sia consentito rilevare in P. Caruso uno degli aspetti oggi più rilevanti dell'essere prete: la sua maturità umana. Ma è stata proprio l'intimità con Cristo che lo ha portato alla pienezza di umanità. Era piuttosto rigido come carattere, ma, ovviamente, con molta fatica, alla scuola di S. Francesco di Sales di cui era devoto, divenne un prete che, pur rimanendo molto serio, s'imponeva con la sua dolcezza e la sua amabilità. Leggiamo tra gli altri questo suo proposito: "Correggerò con la massima dolcezza e non castigherò se non dopo aver inutilmente ammonito" . Certo, la robusta personalità del Caruso si spiega in particolar modo per la sua assoluta fedeltà alle "pratiche di pietà". Meditazione, S. Messa, Via Crucis, e, poi, confessione settimanale, ritiro mensile, ecc. Era iscritto anche all'Unione Apostolica del clero e con quale puntualità faceva ogni giorno le annotazioni sull'apposita pagellina. Per essere fedele a tutte le pratiche di pietà aveva deciso di alzarsi sempre alle cinque. Ha ragione il B. don Gnocchi quando ci dice che la storia ha il torto di presentarci i grandi già belli e fatti e non come si sono fatti. Una casa si costruisce mattone su mattone.


3. II prete è mandato a svolgere il proprio servizio in un determinato luogo e tra persone concrete. E' per questo che P. Caruso sentì la necessità di abitare la Chiesa e il territorio, per usare una frase cara a Benedetto XVI. In termini più semplici: prima di pensare a ciò che c'è da dire o da fare, occorre stare con la gente.
P. Caruso , giovanissimo prete, fu parroco a Sellia ove rimase quattro anni. Qualche anno dopo, dal 1915, fu economo curato e poi parroco alla Stella a Catanzaro. Ebbene, egli si preoccupò di conoscere ad uno ad uno, nella loro situazione concreta, quanti il Signore gli aveva affidato. La Chiesa è famiglia, e in una famiglia non può esistere l'anonimato. E fu vicino ai fedeli nella complessità dei bisogni spirituali e temporali, condividendo gioie e speranze, e soprattutto problemi e angosce.
In particolare egli visse davvero quello che oggi chiamiamo scelta preferenziale dei poveri. Aveva formulato questo proposito: "Farò l'elemosina sempre che mi sarà ragionevolmente richiesto" . Ed effettivamente fece sempre così. Di nascosto, secondo il Vangelo. E la sua carità era espressione della sua fede che lo portava a vedere nel povero la presenza reale del Signore.
A me, però, piace soprattutto mettere in evidenza che egli seppe organizzare la carità. Sin dal 1927 aveva vagheggiato una casa che avesse finalità assistenziali e caritative. Ci riuscì solo nel 1944, dopo la tragedia della guerra, quando i bisogni s'erano fatti davvero urgenti. Si cominciò in via Bellavista, a Catanzaro, in un salone che però poteva accogliere solo 15 persone. Ci voleva una casa più grande. Ebbene, fu sempre per l'appassionato impegno di P. Caruso che si costruì la casa dei Ss. Cuori di Gesù e di Maria, inaugurata peraltro nel 1952, quando egli aveva lasciato questa terra. Mi viene da pensare a S. Vincenzo de' Paoli, di cui il Bremond ha scritto che "fu un apostolo sociale, non 'nonostante' fosse un mistico, ma 'perché' era un mistico: nell'intimità col suo Signore scopriva le necessità dei poveri e la forza per soccorrerli". Fu così anche per Don Caruso.

4. Don Caruso, comunque, aveva ben chiaro come suo compito essenziale di prete di essere mandato a costruire la comunità. Fu operatore di pace. Non si stancava di predicare il perdono. Usava il metodo, oggi forse in una società frammentata più che mai necessario, "del filo e dell'ago", rifacendo il tessuto sociale.
Ma P. Caruso era ben consapevole che era stato mandato a costruire soprattutto quella comunità che è la Chiesa. Proprio così, fu costruttore di Chiesa. Certo, allora non si parlava di "comunione" e tanto meno di "comunione`trinitaria". C'era, però, sempre la preoccupazione che quanti si dicevano cristiani fossero membra vive della Chiesa. E qui viene in mente la definizione che diede della Chiesa Giovanni Paolo II il 6 ottobre 1984: "la comunità degli uomini vivi", la comunità di coloro che vivono la vita stessa di Dio ricevuta nel Battesimo.
Ebbene, proprio per costruire la Chiesa, P. Caruso puntò soprattutto su quel minimo che è comunque fondamentale: la conversione. Non in senso moralistico, però, bensì la conversione come ritorno a Gesù Cristo. "Soltanto Dio e le anime" titolò il suo Diario . E difatti ebbe una sola passione: che tutti vivessero la vita di grazia. "Questa è la vera vita - scrive negli appunti per gli esercizi alle probande - come uomini, come cristiani, come religiosi" . E per questo pregava, per questo s'immolava, per questo non si stancava di ringraziare il Signore di averlo chiamato ad esercitare quel servizio che è proprio del sacerdote: il servizio della Parola, della Riconciliazione, dell'Eucaristia. E' la comunione con Dio la sorgente della comunione tra di noi.

5. P. Caruso ritenne dunque fondamentale il servizio della Parola. Sentì forte l'urgenza di annunziare la "buona notizia". Basta pensare all'importanza davvero prioritaria che egli diede al catechismo.
Mi piace vederlo nella parrocchia di Sellia quando fa suonare le campane per invitare i ragazzi alla dottrina. Ed è simpatico vederlo inviare quattro o cinque ragazzi per le strade del paese con tanto di campanelli per ricordare che era l'angelo custode a chiamarli. Appassionata davvero è, poi, una lunga lettera che rivolge ai parrocchiani in quanto curato della Stella. "Genitori, maestri, padroni, voi tutti che avete il dovere o l'opportunità di salvare la gioventù, all'opera [...]. Avete trascurato l'insegnamento del catechismo, da cui i vostri giovani avrebbero ricevuto il vero lume dell'intelletto; [...] non vi siete fatti carico della frequenza dei Sacramenti, dai quali avrebbero, come albero vitale, tratto la forza di preservazione e rialzamento; non avete mostrato in voi stessi quella morigeratezza, che sarebbe stata per loro la più bella scuola di virtù. Aprite però occhi almeno ora, in cui il Signore vi parla per mezzo del vostro curato, e mettetevi subito all'opera. Non perdete tempo in inutili lamentele e pensate che il più bel modo come recitare il vostro 'mea culpa', è proprio quello di porvi subito a riparare, per quanto è possibile, ai mali del passato. Preghiera, miei cari, preghiera, catechismo, sacramenti e buon esempio" . In quella lettera stabilì anche consistenti premi in denaro per invogliare bambini e bambine a frequentare il catechismo.
Ovviamente, il servizio della Parola non si esaurì per P. Caruso nel fare e nel promuovere il catechismo: faceva omelie, dettava meditazioni, teneva istruzioni, pronunziava discorsi vari. Spesso era chiamato per ritiri mensili e non di rado per esercizi spirituali. Specialmente nei primi anni '20 era contento di fare le missioni al popolo, talvolta insieme al vescovo mons. Fiorentini e al suo segretario, D. Barzellotti. Egli, però, svolgeva il servizio della Parola in ogni tipo di conversazione. "Trovandomi con altri - aveva scritto - introdurrò discorsi spirituali e istruttivi" .
Su questo "polo" del ministero pastorale di P. Caruso, vorrei fare tre osservazioni. Si preparava con meticolosità, scrivendo almeno lunghi appunti. Aveva, poi, fatto questo bel proposito: "Possibilmente mediterò le mie prediche e i miei discorsi prima di farli" . E cosi si dimostrava vero discepolo di S. Domenico, di cui era tanto devoto: i suoi frati Predicatori hanno come scopo contemplata aliis tradere.
Mi preme, però, sottolineare soprattutto il contenuto della sua predicazione. Egli era impegnato a predicare la bontà di Dio, la sua misericordia di Padre, l'amore di cui Gesù ci circonda. Ci teneva a far considerare che il Signore ci ha amati con un amore che egli qualifica con ben dieci aggettivi: eterno, spontaneo, gratuito, disinteressato, affettivo, effettivo, generoso, misericordioso, compaziente, santificante, beatificante . Tra gli altri, aveva fatto questo proposito: "Preferisco di far considerare l'ingratitudine verso Gesù, anziché il castigo ad esso riservato, sia in confessione che dal pulpito" . Si comprende, così, perché l'ho definito "annunziatore della buona notizia". E la buona notizia è appunto che Dio ci vuole bene.

6. Ma P. Caruso realizzò il suo sacerdozio con particolare pienezza nella celebrazione del Sacramento della Riconciliazione. Si può ben dire che la celebrazione della Penitenza fu il suo carisma.
Dopo aver fatto il parroco a Sellia e il rettore del Seminario arcivescovile, con l'arrivo di mons. Fiorentini era stato nominato direttore spirituale nello stesso Seminario e nel 1923 aveva vinto il concorso come Canonico Penitenziere della Cattedrale di Catanzaro.
Nel suo servizio di confessore, P. Caruso spese le sue migliori energie e tanto del suo tempo. All'ora stabilita era puntualissimo in confessionale. E non di rado ci rimaneva anche dopo l'orario. Accorrevano a quel confessionale penitenti di ogni classe sociale. In certi tempi si faceva la fila. E il padre accoglieva tutti con grande amabilità e per tutti aveva la parola appropriata. Si avvertiva la tenerezza del padre anziché la severità del giudice, anche se P. Caruso ci teneva a che le confessioni fossero fatte bene sotto ogni punto di morte. Mons. Vero diceva che P. Caruso era diventato popolare in città "quasi un elemento essenziale", di cui non poteva farsi a meno .
Certo, quel servizio costava sacrifici a P. Caruso. Talvolta sembrava proprio sfinito. Ma non si mostrava mai annoiato. Anzi, era quanto mai soddisfatto di essere stato testimone e ministro della misericordia di Dio. Prima di mettersi a confessare faceva, peraltro, una preghiera che aveva scritto su un'immaginetta: "Ogni volta che entro in confessionale voglio fare un atto d'immolazione e pregare Gesù e Maria che mi aiutino a immolarmi" .
P. Caruso aveva anche scritto: "Bisogna che il confessore sia santo, dotto, e prudente". Si, anche dotto: ed è per questo che studiava, soprattutto teologia morale e ascetica. Egli, però, riusciva a far capire la potenza trasformatrice del sacramento della Penitenza, soprattutto perché ne faceva personalmente esperienza: si confessava ogni settimana, con assoluta regolarità.
Va, intanto, ricordato che per tanti il confessore Caruso divenne direttore spirituale e non poche anime furono da lui guidate a consacrarsi totalmente al Signore. Come pure va ricordato che egli fu confessore straordinario nel Seminario Teologico Regionale "S. Pio X" durante gli anni dell'ottimo rettore mons. Francesco Mennino e per lunghissimo tempo direttore spirituale nel seminario arcivescovile di Catanzaro. E' frutto della sua esperienza di grande educatore un suo scritto, la Guida del Seminarista, dedicato a Gesù sacerdote eterno. Il lavoro si divide in tre parti: "La vita regolamentare", la "Vita ascetica"; le "Pratiche di pietà". E', purtroppo, inedito, e invece andrebbe pubblicato: è passato quasi un secolo e per tale motivo è datato, ma presenta suggestive indicazioni che potrebbero esserci utili anche oggi. Senz'altro bella la "Preghiera a Maria SS." per custodire il dono prezioso della divina chiamata.


7. Per un'anima così innamorata del Signore, era logico attendersi che fosse l'Eucaristia il centro della sua vita. E per P. Caruso fu proprio così. E' stato scritto che egli fece dell'Eucaristia "la vita della sua vita" . Un sacerdote che gli fu molto vicino diceva che "la sua felicità era poter celebrare la S. Messa" . Certo, la messa quotidiana era il momento più importante della giornata. Celebrava ogni messa come se fosse l'unica della sua vita: con la stessa trepidazione del primo giorno.
Che messa, la sua! "Quando celebrava la S. Messa - è la testimonianza di una terziaria domenicana - sembrava ispirato; la sua messa non era mai breve, ma la meditava a tal punto che era compenetrato e preso dal mistero che celebrava". Si spiega anche col fatto che premetteva sempre un'intensa preparazione e faceva seguire un prolungato ringraziamento. Si può dire che tutta la sua giornata era una continua preparazione e un ininterrotto ringraziamento alla S. Messa .
Ma il segreto di tutto ciò era la sua profonda fede nella presenza reale di Gesù nell'Eucaristia. E' per questo motivo, per un bisogno irresistibile dell'anima, che, durante il giorno, faceva tante visite a Gesù Sacramentato. E, specialmente in quegli incontri, parlava a tu a tu, davvero da amico, col suo Signore. Negli appunti degli esercizi spirituali troviamo un proposito significativo: "Nelle visite private non mi servirò mai di formule, ma converserò con Gesù" .
P. Caruso fu molto diligente anche nella fedeltà all'adorazione eucaristica settimanale: era stato, peraltro, uno dei primi iscritti all'Associazione dei Sacerdoti Adoratori.
Un presbitero così innamorato dell'Eucaristia era logico che si ponesse come obiettivo che gli stava più a cuore il portare i fedeli all'Eucaristia. Raccomandava la comunione frequente, anche quotidiana. Negli appunti degli esercizi spirituali troviamo un altro suo proposito significativo: "In confessione avrò premura di consigliare ai penitenti non solo che ricevano Gesù, ma anche di riceverlo con la maggiore delicatezza di coscienza e di affetto" .
E quante anime, alla sua scuola, trovarono proprio nella comunione quotidiana la forza di essere fedeli agli impegni battesimali e di partecipare più attivamente alla vita della comunità ecclesiale! Anche se a qualcuno potrebbe venire oggi la voglia di parlare di intimismo leggendo quanto P. Caruso scriveva ad una terziaria: "Un'anima che riceve ogni giorno questa grazia [della comunione eucaristica] può dire di non aver più nulla a desiderare né in questo, né nell'altro mondo, perché possiede Gesù, e Gesù è tutto su questa terra ed in cielo" . Ma lui ci credeva davvero e per questo fu un prete felice.

8. Fissando lo sguardo su P. Caruso, risulta, intanto, più chiara una verità che il Signore ci ha fatto riscoprire soprattutto in questi ultimi cinquant'anni: "Il ministero ordinato ha una radicale forma comunitaria e può essere assolto solo nella comunione dei presbiteri tra loro e con il proprio vescovo".
Certo, ai tempi del Caruso, non si parlava di "presbiterio" e di "comunione presbiterale": è una riscoperta che abbiamo fatto specialmente col Concilio Vaticano II. Eppure questa "realtà" - perché di realtà si tratta, di realtà sacramentale, non di norme da osservare - egli l'ha vissuta intensamente nella fede.
Amava senza misura i sacerdoti. Nel suo libretto di vita spirituale leggiamo queste parole: "Eserciterò la mia carità interna ed esterna particolarmente verso i sacerdoti specialmente difendendoli, scusandoli; sarò ospitale con essi" . Offriva "la sua povera vita con tutte le sue pene per la santificazione del clero" . E faceva pregare "specialissimamente" per la santificazione dei sacerdoti, convinto com'era che "santificati i sacerdoti, tutto diventa santo" .
Non poche testimonianze ci dicono che P. Caruso riceveva i preti ad ogni ora. Li accoglieva con signorilità e con gioia. Stare con loro era una festa. Chiedeva della famiglia, della salute, del lavoro pastorale. Rigido con sé stesso, (a giudizio quasi unanime) era quanto mai comprensivo con gli altri .
Si offriva volentieri come guida spirituale a chi glielo chiedeva. E quanti presbiteri hanno salvato il sacerdozio per P. Caruso! Quanti per P. Caruso l'hanno vissuto santamente! Non mancava chi, tra i preti, una risatina se la faceva parlando del Penitenziere. Ma egli reagiva con un bel sorriso. Con la stessa intensità di fede P. Caruso visse la comunione col vescovo, che, come si sa, non è solo conditio sine qua non, ma la sorgente dell'efficacia del ministero sacerdotale.
Cito solo due suoi pensieri (che, poi, sono due propositi): "Penserò spesso che il mio Vescovo e gli altri miei superiori sono i vicereggenti di Dio per meglio obbedirli, rispettarli e amarli" . Ed ecco il secondo: "Fare la volontà dei superiori - sempre che non è peccato - anche se non espressa in forma di comando" . E sentite ancora una volta quanto è bello ciò che egli scriveva per i suoi seminaristi: "Si fa più profitto con un solo atto di obbedienza che con cento digiuni a pane e acqua" .

9. Proprio perché P. Caruso visse pienamente la sua identità sacerdotale, eccoci ad un'altra dimensione del suo ministero, che mi pare particolarmente attuale: egli seppe dare spazio ai laici, promuovendo la loro collaborazione nella missione della Chiesa. Sappiamo bene che i presbiteri costituiscono con i laici l'unico popolo di Dio! Essi devono costruire la Chiesa secondo la diversità dei carismi, ma insieme. D'altra parte, il sacerdozio battesimale è il fondamento, ma anche il fine del sacerdozio ordinato. I presbiteri sono abilitati a formare laici liberi e responsabili.
Sarebbe assurdo cercare di trovare in P. Caruso o nei suoi contemporanei una teologia del laicato. Certo è, però, che egli stimava i fedeli laici e coglieva ogni occasione per ricordare che sono anch'essi chiamati ad essere santi, e nel loro stato di vita.
Ma nell'attività pastorale del Caruso, c'e da sottolineare due aspetti di particolare interesse. Egli seppe innanzitutto promuovere l'associazionismo, anche perché convinto che attraverso le aggregazioni i laici avrebbero potuto collaborare più efficacemente alla missione della Chiesa. E difatti fu lui a istituire il Terz'Ordine di S. Domenico, prima a Catanzaro e poi a Gasperina. Erano 250 gli appartenenti al Terz'ordine! E si trattava generalmente di persone che facevano un serio cammino di fede e svolgevano una vera attività missionaria. Fu, poi, molto vicino all'Azione Cattolica. Nei suoi appunti degli esercizi spirituali troviamo questo significativo proposito: "Favorirla in tutto ciò che posso" . Ovviamente, a proposito della missione dei laici, non si parlava allora di "animazione cristiana delle realtà create", ma, soprattutto per l'impulso che negli anni '20 mons. Fiorentini aveva dato all'Azione Cattolica, si parlava in questa associazione di "apostolato sociale". E, infine, non posso non ricordare il convinto appoggio che P. Caruso diede alla Conferenza di S. Vincenzo.
Ma, parlando dell'apporto che P. Caruso diede alla valorizzazione dei laici, va sottolineato con particolare forza un suo merito: egli riconobbe un ruolo tutto particolare alla famiglia nella costruzione della Chiesa. "Facciamo insieme il catechismo", gridava ai genitori, riconoscendo ad essi il compito ricevuto direttamente da Dio di educare i figli alla fede.
C'è di più, però. Oggi avremmo detto che, secondo P. Caruso la famiglia dà il suo contributo alla missione della Chiesa, non tanto per quel che fa ma per quel che è, nella misura cioè in cui è comunità di amore. Prezioso al riguardo l'opuscoletto Guida della sposa dal fidanzamento in poi, che P. Caruso diede alle stampe. Un documento datato, certo, ma con vari spunti di perenne attualità. Anticipando di quasi 50 anni il Concilio Vaticano II, P. Caruso sembra superare in qualche modo la discussione tra fine primario e fine secondario del matrimonio, individuando nell'amore reciproco l'essenza della vita coniugale .

10. Avviandoci alla conclusione, vorrei rispondere ad una domanda: quale fu il principio dinamico della spiritualità e dello zelo di P. Caruso?
La risposta è piuttosto semplice: è sufficiente dire che il principio dinamico fu un amore senza limiti. Con termini cari a Papa Wojtyla potremmo parlare di carità pastorale, nel senso di "dono totale di sé alla Chiesa a imitazione e come proseguimento del dono totale che di sé ha fatto Gesù".
Ho già detto tanto al riguardo: voglio solo aggiungere che P. Caruso ha dato davvero tutto sé stesso là, nel posto, nel servizio cui il Signore lo aveva chiamato tramite il suo vescovo.
La parrocchia di Sellia, innanzitutto. Veramente bella la lettera ai "carissimi figliuoli di Sellia" del 25 dicembre 1913, quando fu invitato a lasciare quel paese per il Seminario. "La voce del Signore, che mi chiamò a voi quattro anni orsono, m'impone oggi di lasciarvi. Grande, lo sento, è il dispiacere della nostra separazione, perché grande n'è stato l'attaccamento e perché credevamo che non avremmo dovuto mai separarci su questa terra, prima di quel giorno in cui 1a morte ci avrebbe strappato all'affetto reciproco. Non pensavamo però che spesso sono diversi dai nostri i disegni della Divina Provvidenza, la quale vede le cose infinitamente meglio di noi, meschine creature, e tutto ordina al maggior bene..." .
Lavorò, poi, P. Caruso , dando tutto con lo stesso entusiasmo, come Rettore in Seminario, arrivando perfino a coinvolgere i seminaristi più grandi nella formazione dei più piccoli, proprio alla don Bosco, e suscitando persino meraviglia nella Curia Romana .
Con pari libertà P. Caruso accettò di passare da Rettore a Padre spirituale per decisione di mons. Fiorentini. Fece - come si è detto - per qualche anno l'economo curato nella parrocchia della Stella, ma si dimise presto, rendendosi conto che non poteva svolgere tutti e due i compiti con la totalità di donazione che la missione esigeva.
Abbiamo già visto, infine, come da Penitenziere seppe connotare in senso sacrificale tutta la sua esistenza. Fu sempre completo il suo abbandono nelle mani di Dio.
Sempre, sottolineo. P. Caruso è passato anche attraverso la "notte dello spirito" .
Ostia dunque, P. Caruso, come Gesù, ma nella consapevolezza che Gesù stesso avrebbe plasmato la sua anima degli stessi sentimenti di oblazione totale in forza della grazia che derivava dall'ordinazione sacerdotale. Carità pastorale come responsabilità e impegno, ma anche come dono e grazia. E questa grazia egli ravvivò con la sua continua preghiera. Proprio perché la preghiera era "il respiro della sua anima", tutta la sua vita divenne preghiera.
Mi pare di avere già detto molto sulla preghiera di P. Caruso. Consentitemi solo di ricordare quanta importanza diede alla preghiera liturgica. Aveva tra l'altro fatto questo proposito al riguardo: "Premettere ad ogni azione liturgica un po' di riflessione sulla importanza della medesima" .
Ma la liturgia - la messa in particolare - era per P. Caruso un evento trasformante perché egli portava in essa la ricca esperienza della sua preghiera personale.
Si aggiunga a quanto ho detto sulla spiritualità di P. Caruso la sua devozione alla Madonna: profonda, teologicamente motivata, filiale, ma anche fatta di tenerezza. Gli scappavano talvolta le lacrime, quando ne parlava . Nel suo libretto di vita spirituale aveva scritto: "Chi potrebbe non amarvi, mia carissima Madre? Sia io eternamente tutto vostro" . E lo fu. E così si spiega perché egli visse la sua avventura sacerdotale con una pienezza e un entusiasmo ogni giorno nuovo.
Non mi rimane che dire grazie al nostro carissimo arcivescovo, mons. Vincenzo Bertolone, per la forte determinazione con cui ha voluto rilanciare la causa di beatificazione di P. Caruso. Ai presbiteri, in particolare, ma anche ai fedeli tutti l'augurio - a 60 anni dal suo transito - di far tesoro della preziosa testimonianza che egli ci ha offerto: di un'attualità davvero sorprendente!

PREGHIERA
O Dio, gloria degli umili e gioia dei tuoi santi, che hai adornato di mirabili virtù sacerdotali il tuo servo Francesco Antonio Caruso rendendolo con la grazia del tuo Spirito pastore d'anime secondo il tuo cuore, instancabile dispensatore della tua misericordia nell'esercizio del ministero della riconciliazione, maestro di vita spirituale e guida saggia ed illuminata degli alunni del seminario, degnati di esaltare in terra questo tuo fedele ministro a lode e gloria del tuo nome e ad edificazione del tuo popolo. Amen.

La preghiera è da recitarsi privatamente. S'invitano i fedeli a dare comunicazione di eventuali grazie ottenute per intercessione del servo di Dio alla Postulazione della causa di Beatificazione cha ha sede nella Parrocchia di S. Nicola Vescovo in Gasperina (CZ).

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